La Giornata Mondiale dell’Infanzia che è stata istituita nel 1954 per sostenere, promuovere e praticare i diritti dei bambini, traducendola in azioni concrete che concorrano a costruire un mondo migliore non come principio astratto ma come risposta concreta.

Quest’anno dobbiamo fare i conti con la peggiore crisi sanitaria ed economica dal dopoguerra a oggi che sta mettendo in ginocchio quasi tutti i Paesi del mondo, colpendo con particolare violenza le fasce più fragili e indifese della popolazione. Chi già viveva in condizioni di povertà, disagio e marginalità ha visto allargarsi il divario. Le disuguaglianze stanno drammaticamente crescendo e nel loro inarrestabile incedere travolgono soprattutto i minori.

Secondo un’indagine Demopolis realizzata per l’impresa sociale “Con i bambini” in occasione della Giornata, per due italiani su tre, la crisi Covid avrà gli effetti più duri e di lungo periodo proprio sui più piccoli che sono stati privati della scuola ma anche di tutta la dimensione sociale, ludica e ricreativa collegata alle attività extrascolastiche: si tratta del mondo di riferimento all’interno del quale i minori sviluppano la loro personalità, le competenze e pongono le basi della loro crescita emotiva e psico-fisica.

La scuola è un mondo che consente di diminuire le disuguaglianze, attraverso le opportunità di istruzione, apprendimento e socialità. Il sistema di istruzione nel nostro Paese non era, già prima della pandemia, all’altezza della sfida di garantire reali e concrete uguali opportunità; la crisi Covid ha accelerato questo processo, dividendo il Paese tra chi riesce a resistere e chi è già stato travolto.

I bambini sono rimasti invisibili nella prima ondata pandemica o, tutt’al più, sono stati considerati complemento oggetto e non soggetto. Si è pensato a loro come figli di genitori che non riuscivano a coniugare, loro malgrado, lavoro e cura, oppure come alunni in una dimensione scolastica considerata, proprio a causa dell’emergenza, un servizio, più dal punto di vista del welfare, che non luogo di apprendimento.

Oggi, ai 10 milioni di bambini e adolescenti che vivono nel nostro Paese dobbiamo una risposta che non può esaurirsi nel semplice, seppur necessario, monito a riaprire le scuole. È chiaro, infatti, che sia indispensabile -in assenza di un sistema diffuso e consolidato, di didattica a distanza- procedere alle riaperture, ma non possiamo pensare che esse, da sole, siano sufficienti a curare questa “malattia”: la malattia dell’infanzia abbandonata, la malattia della disuguaglianza. La malattia delle povertà educative e della solitudine.

C’è davvero un grande bisogno di riaffermare i diritti umani se le vite di tanti bambini e bambine sono private della dignità e persino della vita stessa, senza suscitare indignazione o pietà. Sapere che 1,2 milioni di bambini che vivono in condizioni di povertà assoluta dovrebbero far sussultare le nostre coscienze per trovare una risposta immediata.

La scuola da sola non riuscirà a curare questa ferita profonda. Sarà necessario che tutta la comunità educante si faccia carico di questa generazione Covid e costruisca una rete fisica e ideale dove piantare il seme di una rinascita che andrà costantemente accompagnata.

Per riuscirci, è necessario che la politica e le istituzioni, al di là di qualche facile slogan da spendere per una giornata, osservi con attenzione e capacità di visione ciò che l’epidemia ha lasciato emergere: criticità nate molti anni fa e che l’emergenza ha aggravato e ampliato nella loro devastante portata. Criticità che hanno un minimo comun denominatore: l’assenza di una cultura sociale e politica, ma anche amministrativa, dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Lasciare che milioni di bambini vivano senza opportunità, nella sofferenze e nelle privazioni è il sintomo di un sistema democratico fragile e di una comunità nazionale disattenta.

In questi mesi si sta molto discutendo su come utilizzare le risorse europee contro la crisi. Credo che sarebbe un atto di grande lungimiranza investire su un piano nazionale straordinario per l’infanzia che abbia come punti cardine una rete nazionale di servizi educativi da 0 a 6 anni in tutte le Regioni che consenta un accesso almeno al 33% dei bambini; una rete territoriale di servizi per l’infanzia realizzata dalle comunità locali, con particolare attenzione ai territori più deprivati e ad alto tasso di abbandono e dispersione; la promozione di una rete di cura e sviluppo per i bambini che hanno sofferto più di altri gli effetti della crisi; un investimento contro la povertà educativa digitale e di potenziamento degli ambienti e servizi di apprendimento extrascolastici.

Ciò che serve è un approccio sistemico che metta realmente al centro i diritti dei bambini attraverso la costruzione, a livello nazionale e locale, di una rete di tutele e garanzie che prevengano il disagio sociale e i rischi di danni permanenti.

Per farlo si dovranno integrare maggiormente le politiche socio educative e pedagogiche con quelle sanitarie, puntando sul rafforzamento della comunità educante, garantendo risorse e organici competenti per le attività di presa in carico dei minori, rendendo operative su tutto il territorio nazionale le linee nazionali di indirizzo per le realtà di accoglienza. Non possiamo continuare a ignorare il futuro. Senza cura dei diritti dell’infanzia non esiste domani.


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