Zavoli ricorda il maestro a 20 anni dalla morte
PENSANDO a un indimenticabile libro di Sergio Zavoli, questo ricordo di Fellini a 20 anni dalla sua morte ha un suo inevitabile lancio: Federico, viaggio intorno all`uomo.
L`ultimo incontro con un grande amico…
«Federico, quella domenica, aveva chiesto ai medici dell`ospedale romano di poter pranzare con Giulietta in un ristorante. Stava salendo sul taxi quando lo raggiunsi con il cellulare. Era sereno, con quel po` d`ironia per dissimulare l`emotività mi disse che gli sembrava di marinare la scuola, di farla franca con tutto, compresa la salute. Morirà, al ritorno in ospedale, tradito da un`ovolina di mozzarella che lo soffocava e non si trovò chi lo potesse trarre da quell`inverosimile, straziante finale».
Come identifica, oggi, Federico Fellini?
«Spero che il ventennale della sua morte, dopo lo scialo del ‘fellinismo’ usato da un`esegesi tra bonaria e stucchevole, restituisca a un protagonista della cultura del Novecento la semplice e universalmente convenuta importanza assimilabile a quella di chi – per esempio Kafka, Stravinsky, Moore, Picasso – ha lasciato una ricchezza creativa che segnerà il secolo. Non a caso, nel ritratto televisivo ‘Un`ora e mezza con il regista di Otto e mezzo’, Georges Simenon mi diceva che Fellini stava dando alla cultura contemporanea un contributo letterario e filosofico di valore assoluto. Altro che felliniano! ‘Non voglio essere l`aggettivo di me stesso!’, si limitò a dire».
Gentile, cinico, generoso, egoista, mistificatore, siamo assediati da questi stereotipi.
«All`elenco manca solo ‘bugiardo’, il più pigro, mistificante e insidioso, dei giudizi espressi con qualche pretesa addirittura introspettiva. In realtà era un incantevole dispensatore d`intelligenza e sensibilità; anche se non è facile scegliere un suono e una tonalità in un cervello a sonagli. ‘E spesso imprendibile’, semplificava dolcemente Giulietta».
Quale Italia smaschera il cinema di Fellini?
«L`Italia della volgarità, degli egoismi, dell`intolleranza, delle fazioni, del moralismo subdolo, delle ipocrisie, ma anche dell`assenza di tenerezza, di stupore. Credeva nella speranza e alle sue restituzioni; ‘Me la chiedono anche i produttori’, confessava. ‘Lei, che è un Maestro, in fondo alla pellicola ci metta un po` di speranza!’» .
Facciamo il gioco delle parole. Immaginazione.
«L`immaginazione gli deve molto: l`ha innalzata al suo posto liberandola dalla fantasticheria, dal vaneggiamento, dai lirismi effimeri, dalle idee svenevoli. Fino a concludere che il vero, l`unico realista è il visionario».
Donna.
«Basterebbe citare ‘La Strada’, ‘Cabiria’, ‘Giulietta degli spiriti’, ‘Otto e mezzo’ per dire come Fellini avesse trattenuto nei confronti delle donne una sorta di creaturale riconoscenza, a cominciare dai bagni fumanti dentro le tinozze e dal tepore dei teli bianchi che lo attendevano sui lettoni. Poi gli hanno messo addosso i panni del trasgressore, ma dopo la sua morte, per risvegliare qualche sopita visibilità».
 Sogno.
 «Tullio Pinelli, il primo collaboratore di Fellini, ha scritto: ‘Federico era un uomo molto misterioso per chi non lo conosceva: aveva quattro o cinque grandi amici che non sapevano niente l`uno dell`altro. Erano Flaiano, Zavoli, padre Arpa, oltre naturalmente a me. Aveva scelto Zavoli come confidente speciale per i sogni’. Tullio ha dimenticato qualcuno, per esempio Titta, Marcello, Tonino, ma anche Notarianni, Angelucci; fummo davvero, per dir così, ‘testimoni dei sogni’. Fino a quando, in una pagina del suo grande libro, Federico disegnerà se stesso e me attorno a un tavolino, in una stanza vuota, silenziosi, resi attoniti da un`improvvisa mestizia; si annunciava il tempo della resa a qualcosa di nuovo».
Dopo un incidente, lei raccontò a Fellini un sogno, ricevendo un commento che toccava il confine della fede. Può parlarne?
«Dopo l`incidente di Chernobyl gli dissi, dall`ospedale di Kiev, di avere sognato che camminavo su una corda tesa da un capo all`altro di una piazza, come un equilibrista, ma improvvisamente la corda spariva, e gli parlavo del terrorizzante precipizio apertosi sotto di me. Fu allora che Federico m`interruppe: ‘Ma chi può dire che fosse la fine e non l`inizio del viaggio?’. Poi, come rivolto anche a sé: ‘Non sei curioso di vedere come va a finire?’».
Federico e Giulietta, un mistero?
«Non c`era granché da capire. Sordi racconta che quando Federico arrivò a Roma era magro da far paura, cominciò a stare bene sulle gambe, e a ingrassare, grazie ai cappelletti di Giulietta. Gelsomina fu assai di più: a Los Angeles, durante la consegna del quinto Oscar, Federico si accorse che la moglie non riusciva a trattenere le lacrime, e interrompendo una cerimonia che ha i tempi di un cronometrati, provocando in teatro un visibilio, le disse: ‘E adesso, Giulietta, ti prego, smetti di piangere…’».
Il film che le ricorda più di tutti l`amico?
 «’Otto e mezzo’, a mio parere, è il film in cui alle invenzioni puramente filmiche aggiunse ispirazioni anche interiori, per esempio nella sequenza breve come un lampo in cui Marcello (cioè lui, Federico) saluta i genitori, due immagini diafane che abbandonano la scena, li chiama, vorrebbe trattenerli, ma la madre, volgendo appena il capo, fa il cenno di chi non può, di chi deve andar via per tornare chissà dove, e quei tre metri di cinema suscitano un attimo di indicibile emozione».
Rimini?
«Rimini era il luogo degli abbandoni e dei ritorni, del faro e della nebbia, della sabbia con il colore del sole, un paesaggio della memoria da cui si liberava ricostruendolo a Cinecittà. ‘Meglio’, disse, ‘se Rimini rimane una quieta, nutriente bugia. L`ho così derubata la mia città che di lei c`è qualcosa, a ben vedere, in molti miei film’».
Che cosa, in definitiva, vi legò?
 «Mi legava un`idea non estetizzante della bellezza, né virtuosa dell`innocenza, né oracolare della verità; mi colpiva il suo tendere all`armonia, quella curiosità lucida e carezzevole. Poi l`idea erratica, misteriosa, confortante che tutto può essere, o diventare, diverso. Forse è un`inezia: Federico Fellini è stato il solo regista che ha sempre rifiutato l`apparizione, in coda ai suoi film, della parola FINE».

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