Io lo conoscevo bene
Federico Fellini non è stato solo un maestro del grande cinema, ma anche una figura autorevole per ciò che ha aggiunto alla cultura del secolo: poetica, psicoanalitica, filologica, seppure non in forme organiche né strettamente scientifiche. Ma nel ventennale della sua morte, celebrato universalmente, è venuta l`ora di rendergli piena giustizia dicendo anche ciò che non è stato: un effimero cantore della memoria, l`esperto in incantamenti, il costruttore di scenari e atmosfere ispirati dal sorprendente, dal nostalgico, dal barocco.
In realtà il suo ‘amarcord’, di una dolcezza ironica mai fine a se stessa, riconduce a una condizione densa e arcana della nostra vita, quasi mai risolta nella sua sola evidenza. In un ritratto televisivo di Federico, il grande  scrittore Georges Simenon mi faceva notare come il regista avesse portato nel cinema una visionarietà senza precedenti, cioè espressiva e nuova in senso anche letterario e filosofico, indicandoci come il giornalismo, e in definitiva il costume, avessero introdotto, a proposito del suo cinema, una retorica classificazione divenuta quasi un marchio di fabbrica: ‘il fellinismo’. «lo non sono un aggettivo, non voglio essere un felliniano», protestò. Si difendeva da una banalità. Gli piacevano, invece, í pareri spontanei, anche i più ingenui, dei suoi concittadini. Quando tornavo a Roma dalla nostra comune città, Rimini, mi chiedeva di raccontargli le battute, gli sfoghi, le lamentele che fiorivano intorno a lui soprattutto d`inverno, quando la città cominciava a sonnecchiare, su e giù lungo il Corso, la mesta retrovia del grande fronte marino. Al contrario della superficialità, indolente e scontenta, dei vitelloni rimasti, Federico aveva sotto sotto un`idea placentale, tiepida, rassicurante della sua città. Lo incuriosiva, non so dire se lo temesse, un giudizio vero e proprio; ma poi ne sorrideva, tra complice e vittima. Rimini, quel 31 ottobre, si chiuse in un dolore vasto, profondo. Non sarà più il luogo del suo mondo soprattutto bambino, che aveva reso vago e gioioso come sotto il tendone di un circo, e tanta gente che si diverte; cominciando da lui, domatore, illusionista, buttafuori, tra marcette di clown e musiche d`organo, fanciullini e donnone, innocenze e ludibri, percezioni e dubbi. Via via esprimendo una visione dell`esistenza che ha fatto del suo cinema un linguaggio tra i più reali e sognanti del nostro tempo. Non a caso credeva nell`immaginazione come modo, il più alto, di pensare, con un cinema tutto dentro la vita, dolce e amara che sia, reale e misteriosa. Della morte, un giorno, mi aveva detto: «Ma non sei curioso di vedere come va a finire?».

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