VISTO IL CLAMORE SUSCITATO DALLE RECENTI VICENDE CHE HANNO COINVOLTO
IL GRUPPO DEL PD AL SENATO, mentre si sta discutendo delle riforme costituzionali e in particolare quelle del bicameralismo e del titolo quinto, credo sia utile, anche dopo aver letto quanto ha scritto Massimo Mucchetti su questo giornale, provare a rimettere i diversi passaggi nella loro reale dimensione per evitare che si perdano di vista le priorità e le conseguenze concrete delle scelte fatte e da fare.
Sia chiaro: si può non condividere la proposta di riforme in campo o la scelta fatta dal gruppo di non delegare più Mineo a rappresentarci in prima commissione nel momento in cui si sta cominciando a votare sugli emendamenti alla riforma costituzio-nale. Manon esiste un problema di violazione delle regole, né siamo di fronte a una scelta autoritaria che vuole tappare la bocca al dissenso interno.
Trovo anche legittima la scelta fatta da alcuni colleglli di manifestare la propria contrarietà alle scelte del gruppo sospendendosi dallo stesso, ma trovo perlomeno inopportuna la spettacolarizzazione che si è voluta dare a quella scelta, annunciandola enfaticamente in aula, ali¬mentando le strumentalizzazioni dei gruppi di opposizione. C’era bisogno di cercare la solidarietà del M5S e di Forza Italia quasi si fosse di fronte ad atti contrari alla democrazia e alle istituzioni? Trovo anche, e lo voglio ribadire a Mucchetti, offensiva l’idea per cui se si è in minoranza significa che la maggioranza è in malafede, opportunista e succube dei media e dei potentati. Pensare che la tua idea è giusta a prescindere e chi non la condivide è, a seconda del dichiarante opportunista o come le tre scimmiette, mi sembra onestamente sbagliato.
Detto questo, col rispetto che è dovuto a chi ha fatto scelte che non condivido, penso si debba parlare di ciò che è successo non accettando le semplificazioni che leggiamo in questi giorni e che raccontano di dittatori, di un partito che non sarebbe più democratico, che siamo di fronte ad epurazioni e alla indisponibilità al confronto. In Senato il gruppo si è riunito molte volte. Avevamo un mandato da parte della direzione nazionale a lavorare sul percorso delle riforme e abbiamo, a stragrande maggio¬ranza, condiviso la sostanza della proposta di riforma del Senato e del titolo V.
Tutto questo non ci ha impedito di arrivare a formulare, come Pd, molti emendamenti che possono modificare il testo del governo anche raccogliendo le osservazioni di chi non ha condiviso il testo in discussione. Da subito abbiamo sottolineato quali erano i punti irrinunciabili – su questo hanno votato la direzione e i gruppi – e ciononostante c’è una minoranza che legittimamente considera inaccettabili quei punti, a partire dalla questione della composizione del futuro Senato. L’articolo 67 della Costituzione garantisce ad ogni parlamentare di esprimere in aula il proprio dissenso senza vincolo di mandato. Questo principio non è in discussione, non lo è mai stato. Così, come è avvenuto alla Camera sulla legge elettorale, in aula ogni parlamentare potrà distinguersi. Ciò che non può avvenire è che in commissione, dove si è delegati a rappresentare il proprio gruppo, si possa sostenere una posizione diversa pregiudicando, come rischierebbe di essere in questo caso, la possibilità della maggioranza di poter portare in aula la riforma così come auspicata. Questo è il punto. Se non si intende garanti¬re in commissione il rispetto delle decisioni democraticamente prese dal gruppo che ti ha designato è giusto lasciare il posto ad altri.
Anche perché, così facendo, si consente, come è avvenuto in occasione dell’ordine del giorno Calderoli, di prestare il fianco a operazione delle opposizioni e di indebolire nella trattativa sulle riforme il Pd, col paradosso di consegnare a Fi la possibilità di partire nella trattativa da una posizione più forte perché noi non saremmo in grado di garantire i nostri voti in commissione.
Le riforme sono una necessità impre-scindibile per il Paese, serve farle bene, ma anche farle presto per ridare forza alla nostra democrazia e alle nostre istituzioni restituendo credibilità alla politica. Nessuno deve rinunciare alle proprie idee, ad esprimerle e a battersi per esse. Ma tutti dobbiamo sapere che realizzare le riforme è la responsabilità politica che abbiamo. La democrazia nel Pd non può essere solo richiamo alle giuste regole o al sacrosanto ricono-scimento del pluralismo, ma deve coniugarsi con responsabilità personale e collettiva.

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