La deputata dem, eletta nel collegio estero, da Toronto: «Tutti prendono le distanze da Trump» Il profilo di Carney? «Vince perché serio e affidabile. E ora guarda all’associazione con l’Europa»
Francesca La Marca, che raggiungiamo al telefono, è a Toronto da giorni. La deputata canadese del Pd – eletta come rappresentante del Nord America – si trova nel suo collegio, e al telefono con noi, dopo aver parlato con i colleghi del gruppo Dem di Montecitorio, non trattiene la gioia. Festeggia il successo del candidato premier Mark Carney: il Mario Draghi del Canada ha vinto una campagna elettorale difficile ponendosi alla testa della rivolta contro Trump. E portando il Canada, che l’inquilino della Casa Bianca voleva annettere come 51mo Stato, a bussare all’Unione Europea.
L’esito delle elezioni canadesi ha sorpreso anche lei? Un risultato inatteso fino a poche settimane fa…
«Fino a poco tempo fa era impensabile. E per questo davvero impressionante. I Liberal in Canada erano dati per morti, dopo le dimissioni di Justin Trudeau nessuno avrebbe scommesso su un nuovo mandato per loro. Che invece è arrivato, per la quarta volta di fila. E nessuno fino a due mesi fa avrebbe immaginato che il banchiere Mark Carney sarebbe diventato così popolare, perfino così amato in così breve tempo».
Merito di Trump?
«Assolutamente sì, tutto merito di Trump. La vittoria Liberal in Canada e in Groenlandia, e quella annunciata dai sondaggi per i Liberal in Australia è una reazione forte all’insofferenza di sempre più persone verso il bullismo di Trump. La sua retorica ha una funzione respingente, controproducente: più parla, più gli elettori vanno nella direzione opposta».
Ma come si è costruito un consenso ampio per Carney in così poco tempo?
«I canadesi hanno dato un voto strategico. Hanno preferito puntare sul cavallo vincente: per dare il voto a Carney e non disperdere le possibilità di contrastare Trump – che era più vicino a Polievre –molti hanno deciso di non votare per l’estrema sinistra e agli indipendentisti del Québec, altra forza politica di sinistra».
Che figura è quella di Polivere?
«Polemico, aggressivo, volubile. Stile Trump. Quando i canadesi hanno visto di dover decidere tra un nuovo Trump – che si è detto vicino al presidente americano – e un tecnico preparato, carismatico, gentile come Carney, con un curriculum incredibile – prima è stato governatore della Banca centrale inglese, poi di quella canadese, un unicum al mondo – non ci hanno pensato su troppo. E hanno scelto il secondo. Anche se..»
Anche se…?
«Mancano tre seggi ai Liberali per avere la maggioranza piena. E dunque dovranno fare un governo di coalizione chiamando a far parte della maggioranza anche i Québequois e i Verdi».
Trump ha chiamato Carney per complimentarsi della vittoria. Cambierà atteggiamento verso il Canada?
«Chi può dirlo? Trump è a dir poco volubile. Ci ha abituati a continue smentite di quel che aveva detto il giorno prima. Nel dialogo con il nuovo Canada di Carney dovrà stare attento: il nuovo primo ministro è diplomatico ma molto fermo. Troverà pane per i suoi denti».
C’è una certa riscossa liberale, in giro per il mondo…
«Tutto il mondo sta prendendo le distanze da Trump, ciascuno lo afferma come può, appena può. Molti italiani negli Stati Uniti – che mi avevano detto di aver votato Trump – già in questi giorni mi scrivono di essersene pentiti: «È un folle», mi dicono. Se si votasse oggi negli Stati Uniti, non credo affatto che vincerebbe lui».
Trump ha avuto il merito di avvicinare Canada ed Europa.
«Molto più di quel che si pensa. In Canada in questi giorni si sta parlando, e non lo avrei mai pensato, di come lavorare a un trattato di adesione all’Unione Europea. Una cosa che è iniziata come battuta e di cui adesso si sta parlando molto seriamente. Si apre un periodo molto interessante».