Rinviare il congresso sarebbe un errore imperdonabile e incomprensibile
SONO TRASCORSI PIÙ DI CINQUE MESI DALLE ULTIME ELEZIONI POLITICHE E STIAMO ANCORA DISCUTENDO SE E QUANDO SVOLGERE IL NOSTRO CONGRESSO. Questo ritardo non solo ci impedisce di riflettere in modo limpido sulle ragioni dell`ultimo risultato elettorale e su quale profilo deve avere il Partito Democratico nella nuova stagione che si apre, ma rischia anche di trasformare un dibattito che sarebbe quanto mai utile in una miope e dannosa discussione tra diverse fazioni. Ecco perché convocare prima della pausa estiva il congresso del Partito Democratico il cui svolgimento per statuto è previsto entro il prossimo novembre, lo considero essenziale per avviare una limpida riflessione che i nostri elettori si aspettano da mesi. Più volte abbiamo ribadito l`esigenza di superare l`attuale crisi di sistema abbandonando i vecchi paradigmi neoliberisti su cui più di qualcuno si è illuso di poter contare negli ultimi anni, oltre a quella di uscire finalmente da alcune ambiguità non più tollerabili. Penso per esempio alla non più rinviabile scelta su quale idea di riassetto istituzionale immaginiamo per il nostro Paese. Ma spesso queste discussioni sono rimaste confinate su fogli di giornale e riviste, a portata di mano degli addetti ai lavori ma così lontane da tutti quegli elettori che hanno votato per noi, da quelli che hanno ritenuto di astenersi o da quelli che hanno rivolto il proprio voto verso un altro soggetto politico. Il congresso servirà proprio a questo: si confronteranno diverse ipotesi di uscita dalla profonda crisi economica e finanziaria intrecciatasi con una sempre più evidente crisi della democrazia. Una miscela che genera un crescente malessere sociale e potrebbe avere conseguenze letali per la tenuta del Paese. E chi pensa che il congresso del nostro partito possa diventare una minaccia per il governo Letta, dimostra di non aver realmente compreso la portata della crisi di sistema in cui siamo immersi e dalla quale usciremo solo con un forte rilancio dei soggetti politici e di una nuova idea di democrazia. Una leadership forte alla guida del partito, sancita da elezioni primarie aperte a tutti e non solo ai tesserati, può solo rafforzare l`azione di un governo che – vorrei ricordare – è nato per necessità. Nessuno di noi aveva in mente un governo così composto ma la forza della realtà ha vinto su quella della volontà. Si tratta ora di mettere a valore la scelta sofferta e per niente facile che abbiamo fatto decidendo di formare, su input del prezioso lavoro svolto dal Capo dello Stato, un governo di coalizione in nome della stabilità del Paese. Ma guai se una scelta del genere significasse anestetizzare l`azione del Partito Democratico, magari preferendo rinviare la data del congresso per non rafforzare l`identità di un partito che comunque rimane radicalmente alternativo alle altre forze con le quali sostiene lealmente e responsabilmente il governo. Personalmente penso che questo sarebbe un errore imperdonabile e incomprensibile per i nostri elettori. Sono insomma convinto che ritardare il congresso non aiuti il lavoro del governo, tutt`altro. Un ritardo produrrebbe soltanto ulteriori elementi di incertezza e di confusione che complicherebbero il perseguimento degli obiettivi di governo. Svolgendo al più presto il congresso, invece, potremo ridare vigore e prospettiva al progetto politico del Partito Democratico che rimane l`unico vero partito in grado di incarnare una speranza per il futuro dell`Italia. Dico tutto questo prescindendo da come ciascuno di noi si schiererà poi nel congresso e consapevole che la forza del nostro partito risiede nel non avere padroni e nel poter contare su una classe dirigente diffusa sul territorio a iniziare dai nostri amministratori locali oltre ai tanti militanti carichi ancora di passione. Personalmente, infine, resto convinto che sarebbe auspicabile convincere Matteo Renzi a candidarsi alla guida del partito. Non tenere conto, ancora una volta, della sua forza e del suo consenso, sarebbe davvero l`ultimo errore al quale io non mi sento di concorrere.

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