“Mentre l’Italia è il paese europeo più impegnato a salvare vite in mare, la Marina militare e le Capitanerie di Porto sono oggetto di un’indagine per mancato, insufficiente o ritardato soccorso: un paradosso”. Così Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa al Senato in un’intervista al Messaggero in merito all’inchiesta della Procura di Roma a seguito del naufragio accaduto a febbraio 2013.

“In quel tratto di mare agiscono molte navi di diversi paesi che operano sulla base di un coordinamento internazionale. Anche la nave Libra – spiega – non era che uno strumento di questo dispositivo, che si muove appena riceve l’input. Infatti, appena lo ha ricevuto, si è mossa e ha salvato circa la metà delle persone in pericolo. Eventuali problemi nel coordinamento non contemplano responsabilità per i nostri militari. Più che innocenti, sono eroici. Naturalmente la magistratura può e deve indagare, ma questa vicenda segnala una difficoltà e drammaticità del problema dei flussi. Deve farci riflettere che sono passati tre anni dal 2013, il problema non è ancora risolto e dunque è strutturale”. Alla domanda se quei 268 migranti che persero la vita potevano essere salvati o no, Latorre risponde: “Può darsi che in una situazione di particolare emergenza vi sia stata qualche esitazione nel decidere chi, dove, quando dovesse intervenire, ma questa incertezza rientra nella complessità e drammaticità della situazione. La gestione del flusso di migranti è la frontiera più avanzata sulla quale si cimenta la comunità internazionale”. “I nostri militari e i nostri marinai, da Mare Nostrum in poi, hanno agito rispettando rigorosamente la legge del mare. Una parte della politica italiana sostiene che così aiutiamo gli scafisti. La realtà è un’altra. Chiunque stia in mare ha il dovere di rispettare la legge del mare e soccorrere i naufraghi – conclude Latorre – c’è un obbligo morale oltre che normativo”.


Ne Parlano