Nei giorni scorsi il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha associato la ripartenza di Milano e il ritorno alla normalità, alla fine dello smart working, lasciando intendere che esso non rappresenti un’efficace e adeguata modalità di lavoro. A suo dire “l’effetto grotta per cui siamo a casa e prendiamo lo stipendio ha i suoi pericoli”. Pochi giorni prima, il professore universitario e giuslavorista, Piero Ichino, aveva dichiarato che “lo smart working per i dipendenti pubblici è una vacanza”.
Tali affermazioni hanno suscitato un vasto dibattito sul tema del lavoro a distanza, sulla sua reale efficacia e sulle conseguenze sociali, relazionali, ambientali. Credo sia necessario andare in profondità perché il tema si collega a quello molto più ampio dei cambiamenti cui sarà soggetto il mondo del lavoro nei prossimi anni. Le nostre comunità si fondano sul lavoro: elemento centrale della nostra convivenza e del contratto sociale che siamo chiamati costantemente a rinnovare come cittadini.
Occorrerà modificare le peculiarità di un diritto essenziale della vita comune. Un diritto che si sta evolvendo insieme alle trasformazioni delle nostre società. Questo è un tema centrale del futuro su cui si sta discutendo da tempo e che l’emergenza Covid ha enormemente accelerato. Una questione dirimente è quella di trovare modalità per cui i cittadini possano sentirsi inclusi e in relazione, in una società dove le trasformazioni digitali avranno un peso enorme.
Il covid ha messo in luce rapidamente questi cambiamenti. E lo smart working è diventato terreno di dibattito perché molti lavoratori sono passati in poche ore da modalità di lavoro in presenza a modalità di gestione delle loro attività a distanza. Uno studio della Cgil e Fondazione Di Vittorio parla di oltre 8 milioni, contro i 500 mila che lavoravano da remoto prima del coronavirus. A ben vedere una vera e propria rivoluzione avvenuta senza preparazione né professionale né psicologica, e nei tempi stretti dettati dall’emergenza sanitaria.
Una rivoluzione che ci mette di fronte alle nostre lacune come sistema Paese: siamo uno dei più arretrati rispetto allo sviluppo delle infrastrutture tecnologiche, all’investimento sul capitale umano e sulle nuove competenze e con relazioni industriali che richiederebbero nuovi modelli di gestione. Ma questa esperienza ci ha fatto apprezzare anche i benefici ambientali, i vantaggi nel recupero dei tempi del tragitto casa-ufficio, la possibilità di avere più momenti per le relazioni familiari, per parlarsi, persino per conoscersi di più.
Sarebbe utile riflettere su questi primi mesi di esperienza per capire come procedere in futuro poiché è del tutto evidente che non si potrà (né si dovrà) tornare indietro come se nulla fosse stato, ma neppure pensare di non regolamentare il nuovo sistema. Esiste un tema di diritto alla disconnessione e alla privacy in un sistema senza limiti, c’è il tema dei lavoratori che operano isolati dall’azienda e quello del sovraccarico per chi si occupa anche del lavoro di cura. In particolare le donne, gravate da molti compiti, hanno retto modalità più alienanti e stressanti.
Bisognerà quindi regolare tempi, sistemi e sicurezza della prestazione ma anche investire sulla formazione. Ripensare come riconoscere i diritti del lavoro subordinato, i congedi, i bonus baby sitter perché altrimenti diventa impossibile la conciliazione dei tempi. Un recente sondaggio della Fondazione Libellula certifica come su mille lavoratori/lavoratrici, le donne (il 30,9%) si sono occupate soprattutto dei figli, contro l′1,4% degli uomini.
Purtroppo, in questi mesi le donne hanno pagato di più la crisi, sia con un aumento del tasso di disoccupazione, sia con un aumento dei carichi di lavoro: per molte, infatti, lo smart working si è trasformato in “extreme working”, con pesi sbilanciati. Insomma, il lavoro agile ha alimentato gli stereotipi e il gap di genere esistente nelle relazioni familiari e nelle condizioni di lavoro.
Da tutta la complessità di questi dati dobbiamo ripartire, provando a offrire nuove soluzioni in merito alla conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro e all’organizzazione delle attività. Servono nuove regole per non sprecare questa opportunità, evitando che il lavoro da remoto si trasformi in una prigione o in drammatico ritorno al passato invece che in un salto nel futuro.


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