Presidente Zanda, da capogruppo al Senato può dirci quale sarà la sorte – assoluzione o espulsione – dei tre dissidenti del Pd? «La domanda è mal posta. Giovedì prossimo, si riuniranno i senatori del nostro gruppo per discutere dei provvedimenti in arrivo, della situazione politica e quindi anche del voto sulla delega lavoro. Parleremo pure dei senatori che non hanno partecipato al voto. Ma sarebbe sbagliato trasformare una questione politica seria in un affare disciplinare». Sarà un processo o non sarà un processo? «Sentiremo Casson, Mineo e Ricchiuti. Ma anche gli altri 105 componenti del nostro gruppo, che hanno votato la fiducia. Il tema di fondo è: cos`è un partito politico, cos`è un gruppo parlamentare e cosa significa farne parte. Penso che i nostri dibattiti debbano essere completi e debbano chiudersi con decisioni. E non conosco un altro modo democratico di decidere, se non a maggioranza». Centralismo democratico? Ritorno al Pci? «Il Pci era una cosa diversa. Paragonare il Pd al partito comunista è una cosa poco seria. Di quei tempi, ho molta nostalgia dei dibattiti nelle sezioni del Pci, della Dc, del Psi. Lì maturava la politica. Oggi le democrazie sono in crisi ovunque, perfino negli Stati Uniti. Per battere il capitalismo autoritario e le autocrazie, c`è bisogno di democrazie che sappiano decidere». Questo significa che nel Pd non può esistere la libertà di voto e i tre saranno espulsi? «A me è capitato, anche negli ultimi anni, di votare provvedimenti che non condividevo o in parti del contenuto o nella forma. Per esempio, non condividevo l`abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, e non condividevo che fosse stato disposto con decreto legge, ma l`ho votato. Avevo molti dubbi sul fiscal compact, ma l`ho votato. Ogni volta ho pensato che fosse necessario sia uniformarmi alla volontà della maggioranza del mio gruppo sia a quali sarebbero stati gli effetti politici del mio voto contrario». È vero che Renzi vuole il pugno duro sui dissidenti? «Con me, non ne ha parlato. La questione decisiva, per restare in un gruppo politico, consiste nel sapere quale valore debba essere dato all`orientamento della maggioranza del proprio gruppo». Si può spiegare meglio? «Certo. L`agenda delle prossime settimane comprende provvedimenti in materia di lavoro, di riforme costituzionali, di legge elettorale, di giustizia, di anti-corruzione, di scuola, di missioni all`estero. Inoltre, lo Sblocca Italia. Se venisse accettato il principio che i senatori del Pd, su ciascuno di questi provvedimenti, possano votare secondo la propria particolare e specialissima opinione, il gruppo non avrebbe più ragione di esistere». Questa volta i tre verranno perdonati, ma alla prossima defezione vengono espulsi? «Le decisioni sono sempre dell`assemblea e non del presidente del gruppo. E vanno prese sempre alla fine del dibattito e non prima». Stavolta i tre si salvano e le dimissioni di Tocci rientreranno? «Io voterò perchè Tocci resti senatore. Su Casson, Mineo e Rícchiuti, ho una mia opinione. Non votare la fiducia al proprio governo è un atto politicamente molto pesante. Ma voglio sentire l`assemblea». Perdere tre senatori, avendone così pochi di maggioranza, non darà un problema enorme al governo? Oppure sono in arrivo verso il Pd senatori grillini? «Io non faccio arruolamenti. Il numero di senatori della maggioranza è molto ridotto, ma questo non è un buon motivo per istituzionalizzare il dissenso. Ho già visto questo film. Quando un gruppo di senatori dissenzienti fece ballare per mesi il governo Prodi e determinò le condizioni politiche che consentirono a Mastella di far cadere quell`esecutivo. Per non parlare di Ghino di Tacco….». Di chi? «Negli anni `80, ci fu un partito che usava i propri voti marginali per scombussolare la maggioranza». Sta parlando di Craxi, soprannominato Ghino di Tacco, e del suo Psi. «Non li ho nominati». A molti senatori del Pd il Jobs Act non piace affatto. Lo hanno votato per paura di Renzi? «Lo hanno fatto per senso di responsabilità. Nemmeno a me piacciono, i decreti legge. Ma il Porcellum ha reso così fragile il Senato che, da Prodi a Berlusconi, da Monti a Enrico Letta, i decreti legge si sono moltiplicati. Nemmeno a me piace il voto di fiducia sulle leggi delega. Ma la fragilità del Parlamento è tale che, negli ultimi trent`anni, i voti di fiducia sulle leggi delega sono stati più di venti».

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