Mercoledì, Luca Ricolfi ha rilanciato una sua interessante proposta di nuovo contratto di lavoro, chiamato job-Italia, non prima di aver criticato il Presidente del Consiglio, accusato di incoerenza sui tagli alla spesa pubblica. Vorrei far osservare che Renzi ovunque parla di «una manovra da venti miliardi» e non di tagli da venti miliardi.
Il dato citato da Ricolfi è poi errato: occorre considerare la tabella del quadro economico che tiene a confronto dei presumibili tagli in legge di stabilità  (previsti tra 8 e 9 miliardi), non quella del tendenziale (4 miliardi).
 Quanto alla proposta del job-Italia, è utile confrontarla con l`apprendistato, che è stato recentemente riformato. Da una delle tabelle pubblicate (quella nella quale si compara lo stipendio netto annuale a fronte di un costo aziendale di 12.500 euro) si evince già una modesta differenza: diecimila euro contro gli oltre novemila dell`apprendistato. Ma i dati cambiano se l`apprendista è assunto nelle imprese fino a nove dipendenti, perché in questo caso è previsto uno sgravio totale dei contributi Inps per i primi tre anni: all`apprendista (pagando la sua quota di contributi, Irpef e Inail) restano in busta paga oltre dieci dei dodicimilacinquecento euro.
Quindi, il contratto job-Italia lascerebbe al massimo mille euro in più all`anno, e solo nelle aziende medio grandi. Ma con una differenza enorme: l`imprenditore è tenuto a formare l`apprendista.
La proposta Ricolfi merita comunque di essere approfondita, anche perché si rivolge a una platea più ampia e perché ha trovato grande apprezzamento tra le aziende. Ma va detto che l`apprendistato, dopo le modifiche apportate recentemente con il decreto Poletti, può svolgere egregiamente l`obiettivo indicato da Ricolfi: ridurre drasticamente gli oneri contributivi del lavoro nei primi anni e quindi favorire nuova occupazione. Con qualche giusto obbligo in più, però, per gli imprenditori.

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