La discussione sulle forme di impresa con tratti di socialità si arricchisce di una nuova proposta: nel maxiemendamento alla legge di stabilità al Senato è stato introdotto il concetto di società benefit. È probabile che la Camera lo confermerà, per cui entro l`anno avremo verosimilmente, pur senza innovazione nelle forme societarie, una nuova forma d`impresa che tenga insieme profitto e socialità. E in questi giorni il Senato approfondisce la legge delega sul terzo settore, rivisitando il concetto di impresa sociale. Di qui l`esigenza di prefigurare a grandi linee quadro che ne uscirebbe: almeno sei diverse tipologie con fini, ambiti di attività e incentivi pubblici distinti, pur accomunate dall`intreccio tra esercizio d`impresa e finalità sociali.
Le cooperative sono la forma più diffusa e nota d`intreccio, caratterizzate da forte partecipazione dei lavoratori e vincoli a distribuzione di utili e patrimonio. Ci sono poi le imprese tradizionali che operano nel campo delle politiche di protezione sociale. Una srl che gestisce una struttura residenziale per anziani non autosufficienti è un modello frequente nei welfare locali, in competizione con le imprese sociali del terzo settore e può remunerare il capitale senza vincoli. Qui il ‘sociale’ è solo il campo d`attività, non il fine.
Siamo poi di fronte a imprese che dichiarano di operare con responsabilità sociale, per le attese non solo dei clienti ma anche dei diversi stakeholders. Da un ventennio almeno la social responsibility è assunta a visione d`impresa olistica, capace di perseguire obiettivi anche per la superiore capacità di valorizzare dipendenti e fornitori, rispettare ambiente e comunità locali, assicurare welfare aziendale eccetera.
Le novità possono arrivare con le società benefit, imprese private in grado di fare e distribuire molti utili in campi diversi, ma avendo pure una o più finalità di beneficio comune. Che non sarebbero un effetto secondario della responsabilità sociale, ma obiettivi almeno pari a quelli economici, fino a rinunciare a buona parte della remunerazione. Si noti che non ci sono incentivi statali, se non quelli eventualmente previsti per qualsiasi impresa profit. L`unico vantaggio sarebbe ottenere una reputazione pubblicamente certificata e riconosciuta che orienti il consumatore a preferire queste società a quelle tradizionali.
Altro è il profilo attribuito all`impresa sociale in definizione al Senato: un ente privato di terzo settore per attività d`interesse generale e utilità sociale e che assume vincoli stringenti nella remunerazione dei fattori produttivi, in particolare del capitale, fino al limite applicato nella mutualità prevalente. Sarebbe quindi una no profit o al più una low profit, realizzabile con ogni forma associativa o societaria e forti vincoli di lock asset.
Infine – ipotesi ancora in nuce, ma se contenuta negli emendamenti in discussione – si configurerebbe la possibilità di un`impresa sociale come ente di terzo settore ma attiva anche in attività estranee a interesse generale e utilità sociale, purché a queste ultime strumentali. Sulle attività non caratteristiche si pagherebbero imposte non agevolate.
In sintesi, il percorso riconosce la stabile collocazione dell`impresa sociale nel terzo settore e prevede prassi e istanze sociali che maturano tramite imprese for profit. L`impresa sociale avrebbe un serio regime vincolistico, campi d`azione delimitati, quindi un favor. Avremmo anche graduate esperienze con meno vincoli e requisiti, ma senza gli incentivi delle imprese sociali. È presto per capire il quadro finale, ma forse si stanno aprendo nuove frontiere nella vocazione imprenditoriale.

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