E’ doverosa una premessa: sono garantista da sempre, non penso che nelle aule parlamentari si possano o si debbano fare processi e non fa testo per me che sia o non sia presente un avviso di garanzia perché esistono tre gradi di giudizio e in questi credo. Come credo nella separazione dei poteri, nella stampa libera e nel ruolo delle istituzioni. Aggiungo che non mi interessa giudicare Daniela Santanché, il termine è proprio sbagliato. Non ho intenzione di commentare i suoi soprannomi – ne ho anche io- e neppure il suo abbigliamento (nessuno dovrebbe permettersi di giudicare) o il suo stile di vita. Ognuno di noi ha il diritto di essere quello che si sente di essere, di manifestare chi è e di sentirsi libero. Ho rispetto dei ruoli e delle istituzioni ed è per questo che è necessaria questa premessa: perché non mi è piaciuto l`atteggiamento della ministra in aula, non mi sono piaciuti i suoi toni, il suo linguaggio e penso che abbia sbagliato profondamente il suo intervento. Venire in Parlamento non è una gentile concessione ma è il doveroso gesto che deve compiere per il rispetto dei cittadini chi, da giorni sulle prime pagine dei giornali, ricopre un ruolo importante nelle istituzioni. La ministra aveva una grande opportunità: il Partito democratico ha presentato una interrogazione in cui ha posto delle domande ben precise: la ministra avrebbe potuto rispondere per dissipare un po` di quella nebbia che ha intorno. Non ha voluto farlo e mi dispiace. Noi porremo le stesse domande ai ministri competenti, alla ministra Calderone, al ministro Urso e al ministro Giorgetti, ma lei ha perso l`occasione. E ha preferito alla chiarezza un vittimismo costruito senza ragione, perché fare domande non significa accusare, e ha scelto di adottare un tono di rivalsa e di attacco nei confronti di chi legittimamente queste domande le ha poste. Un atteggiamento sgradevole, devo dire, soprattutto perché la ministra da senatrice o deputata non ha perso occasione non tanto di porre domande ma di chiedere dimissioni immediate di chicchessia. Sono agli atti, basta googlare tra le dichiarazioni fatte in questi anni e che hanno avuto come destinatari ministri che si sono dimessi non tanto per le accuse, dimostratesi sempre infondate, ma per il senso di opportunità. Perché sta tutta qui la differenza: come la destra vuole abitare le istituzioni. È tutto lecito? Non si sono ancora spenti i riflettori sulle volgarità del sottosegretario Sgarbi ma sembra che per il governo Meloni sia consentito che un suo membro possa usare i termini che Sgarbi ha utilizzato. Tutto lecito per loro quando sono al governo mentre, per esempio nel 2013, Giorgia Meloni chiedeva le dimissioni di Josefa Idem perché pur “certa della sua buona fede, serve un atto di responsabilità. La politica deve dare il buon esempio”. Josefa Idem lo diede ma a quanto pare è un esempio che oggi fa comodo non ricordare. Evidentemente per questa destra garantismo e presunzione di innocenza assumono sembianze diverse a seconda dell`essere maggioranza o opposizione. Semplificando, se tocca al loro, l`esempio non serve. Ne prendiamo atto, ma vogliamo anche chiarire che respingiamo al mittente le accuse di giustizialismo. Le domande legittime poste dal Pd indicano un tema di opportunità politica. Dobbiamo decidere tutti insieme che Paese vogliamo essere. Un Paese dove l`etica pubblica è un inutile orpello e dove ricoprire una carica pubblica con onore e disciplina una frase vuota e retorica e non la cifra esatta dell`impegno nelle Istituzioni? Non si tratta di giustizia, ma di politica. Oggi parliamo di cosa significhi abitare le istituzioni pubbliche in modo decoroso e dignitoso. Oggi il problema non è distinguere tra un`indagine e un accertamento passato in giudicato o una riflessione su cosa significhi essere garantisti: forse dovremmo tutti insieme dirci cosa si intende per rispetto delle istituzioni e dei ruoli che all`interno delle stesse si ricoprono. Io continuo a pensare che il decoro e il rispetto della cosa pubblica siano un valore, mi chiedo se per la destra sia lo stesso.


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