Caro direttore,

la Commissione Giustizia del Senato ha finalmente avviato la discussione dei disegni di legge in materia di attribuzione del cognome materno. Un traguardo a cui siamo giunti dopo anni di dibattiti e prima del quale è intervenuta anche la Corte costituzionale sollevando innanzi a sé la questione di legittimità costituzionale in relazione alle norme che disciplinano l`automatica attribuzione del cognome paterno ai figli. L`obiettivo è colmare questa disparità di genere lasciando ai genitori la scelta di attribuire ai figli il cognome della madre, quello del padre o di mantenere entrambi e adeguandosi al principio stabilito dalla Costituzione della parità tra uomo e donna e alla normativa consolidata a livello europeo. Da legislatori abbiamo il dovere di intervenire prima che sia la Corte a farlo. È la politica che deve consegnare al Paese leggi di civiltà: non è una conquista, infatti, un risultato che arriva grazie a un intervento della Consulta laddove la politica ha lasciato un vuoto.
Certamente l`eguaglianza di genere richiamata dalla Corte è una questione che sta assumendo sempre più attenzione: penso agli obiettivi di inclusione sociale e di parità economica dettati da Agenda 2030 o ancora al Pnrr che segna delle direttrici importanti, di natura trasversale, per garantire opportunità alle donne in condizioni paritarie. Riforme che però non devono portare a declinare la libertà femminile in termini esclusivamente produttivi o lavorativi. I diritti delle donne devono essere riconosciuti e garantiti in quanto tali nella loro pienezza. Si dirà che il tema del cognome materno non è una priorità di questo Paese fiaccato dalla crisi pandemica. Non è così. I diritti sociali non sono alternativi ai diritti civili, ma, insieme, indicano la qualità democratica di un Paese. Nelle pieghe delle norme che prevedono la trasmissione del solo nome paterno si nascondono residui patriarcali- come riconosciuto in modo chiaro dalla stessa Corte – che non possono più trovare spazio in una democrazia compiuta. E come sempre non è una questione che attiene solo alle donne: in questo movimento carsi- co che sembra scomparire, ma che poi riaffiora sempre con forza è l`Italia tutta che ha preso una forma diversa, più equa, più attenta e partecipata, nel pubblico come nel privato. Per tutti, uomini e donne. E anche oggi, con la riforma del cognome non parliamo solo di donne. Parliamo dei figli e del loro diritto all`identità personale, al vedersi e riconoscersi non solo attraverso il nome del padre. Non si tratta solo di non ridurre la madre in una dimensione chiusa, anticamente domestica, ma anche del diritto dei figli di portare fuori dal privato quel legame e tutto il suo portato attraverso il nome, il primo indispensabile requisito della propria identità personale. Nelle scorse settimane in Parlamento abbiamo ripetutamente applaudito il discorso di insediamento del presidente Mattarella; un discorso la cui parola ricorrente è stata dignità. E nel tempo in cui la dignità è un tema profondamente politico, agire per l`uguaglianza e i diritti delle donne diventa un punto ineludibile. Per questo è importante che il Parlamento si metta in sintonia con un Paese che sta cambiando, che mostra di essere sempre più avanti della politica e dove le donne reclamano il diritto ad uno spazio pubblico che consegni loro un nuovo ruolo.


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