Prima scena. Quando, nel pomeriggio di martedì scorso, ho appreso della condanna inflitta a Vasco Errani, gli ho subito inviato un sms di amicizia personale. Ma già dopo una mezz`ora le agenzie erano invase dalle tonitruanti dichiarazioni di solidarietà de li mejo giustizialisti del Pd e della sinistra, che giuravano sull`innocenza del presidente dell`Emilia Romagna.
Richiamavano il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio e invocavano i sacri valori del garantismo.
Seconda scena. Nel febbraio scorso la Procura della Repubblica di Napoli chiede al Senato l`autorizzazione all`acquisizione dei tabulati telefonici relativi a 24 mesi di uso dei telefoni cellulari intestati al senatore Antonio Milo. Da quei tabulati la Procura ritiene di poter desumere se Milo sia stato effettivamente in cura presso il Centro fisioterapico di Napoli delle cui prestazioni ha chiesto il rimborso all`assistenza sanitaria per i parlamentari. La Procura intende dimostrare l`assenza di qualunque aggancio dei telefonini intestati a Milo alla cella di localizzazione dell`istituto presso cui si sarebbero svolte le cure. Se si dimostrasse che i telefonini di Milo «non sono stati mai lì», si avrebbe la prova del comportamento truffaldino dell`intestatario di quegli apparecchi. A prescindere da evidenti discrepanze (per esempio, l`arco temporale indagato va oltre i limiti entro i quali si sarebbe consumata la truffa), viene ignorata la banalissima possibilità che il parlamentare in questione si sia recato in quel centro privo di telefonino, o con quello intestato alla consorte, o a un lontano cugino di Montù Beccaria. Per converso, l`eventuale presenza di un telefonino del senatore Milo presso il Centro fisioterapico non testimonierebbe, di per sé, delle prestazioni effettivamente rese. Ebbene, di fronte a ciò, il primo luglio l`aula del Senato, con voto segreto e a maggioranza, autorizza l`acquisizione di quei tabulati. Indovinate un po` come si pronunciano e come si schierano i parlamentari di sinistra.
Questi due episodi, pur nella loro profonda diversità, consentono di affrontare il tema già catalogato come «il Pd e il garantismo», da una pluralità di punti di vista. Ci si deve chiedere, innanzitutto, se il garantismo sia un`opzione «di sinistra». Tradizionalmente, così non è stato, e per un formidabile motivo: la componente maggioritaria della sinistra ha sempre privilegiato, e per robuste ragioni storiche, i diritti sociali rispetto a quelli della persona e le garanzie collettive rispetto a quelle individuali. Nella più recente fase politica, il garantismo è stato associato alla destra e ai suoi progetti di riforma della giustizia. In altri tempi, a sinistra, lo si qualificava spregiativamente come «liberale». Negli ultimi decenni, i suoi più qualificati interpreti sono stati – oltre che i radicali – personalità di sinistra e liberali, come Norberto Bobbio e Luigi Ferrajoli.
Ciò dovrebbe bastare per sostenere che il garantismo non è né di destra né di sinistra, o – meglio – può essere sia di destra che di sinistra. (Qui, palesemente, a quelle due categorie novecentesche della politica si attribuisce ancora un qualche, seppur controverso e residuale, significato). Di destra è il garantismo ispirato al principio dello Stato minimo e della libertà dell`individuo da ogni indebita interferenza dell`autorità pubblica. Di sinistra è il garantismo che tutela chi non può farlo da sé, anche per mezzo dell`autorità pubblica e dei suoi strumenti. Dunque, sostenere ora che il Pd si sia convertito a una posizione di destra, o che abbia riscoperto un valore tipicamente di sinistra, significa – in entrambi i casi – ricorrere ad argomenti retorici di circostanza o volerla buttare a tutti i costi in caciara. A destra come a sinistra, infatti, essere garantisti significa innanzitutto riconoscere il primato della persona umana, della sua libertà e della sua dignità, sulle necessità contingenti della sfera politica e dell`autorità pubblica. Insomma, significa riconoscere la prevalenza dei fini rispetto ai mezzi, e delle ragioni della politica rispetto ai suoi strumenti.
L`importante è ricordarsi, con Bobbio, che, «malgrado le solenni dichiarazioni di principio», «la battaglia in difesa del garantismo è pur sempre… una battaglia di minoranza», tante e tali sono le tentazioni e le pressioni di segno opposto.
Da tutto ciò discende una domanda: in nome del garantismo, che ne facciamo di indagati, imputati e condannati in via non definitiva? Va da sé che essi debbano essere tutelati da ogni etichettatura e da ogni anticipazione di pena. Questo dovrebbe valere anche per gli accusati di reati considerati, e non sempre a ragione, gravi, che si vuole costretti in carcere prima del tempo perché «socialmente pericolosi»: e spesso non già per quello che sono accusati di aver fatto, ma per quello che si teme possano fare. E altrettanto dovrebbe valere per chi ricopra ruoli o funzioni istituzionali. Ciò non toglie che chi lo ritenga opportuno – come ha fatto Errani – possa decidere di dimettersi da un incarico pubblico perché raggiunto da un`accusa ritenuta ingiusta, ma in cui non vuole coinvolgere l`istituzione che rappresenta. E questo gli fa onore.
Considerato tutto ciò, il quesito conclusivo è: il Pd «deve, essere garantista? Il fatto che, come si è detto, il garantismo non sia né di destra né di sinistra, o che possa essere sia di destra che di sinistra, e che dunque un partito di centrosinistra non sia necessariamente garantista o il suo contrario, obbliga a una libera decisione politica: essere garantisti oppure no. Il messaggio di Matteo Renzi («finché non c`è una sentenza passata in giudicato un cittadino è innocente. Si chiama garantismo») indica una scelta di campo che andrebbe accolta senza pregiudizi da parte di chi si ritiene garantista. Certo se ne dovrà valutare la coerenza con i comportamenti futuri, ma è un importante passo avanti per chi coltiva il garantismo «da sinistra“, in nome dell`eguaglianza delle opportunità e dei diritti.
Richiamavano il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio e invocavano i sacri valori del garantismo.
Seconda scena. Nel febbraio scorso la Procura della Repubblica di Napoli chiede al Senato l`autorizzazione all`acquisizione dei tabulati telefonici relativi a 24 mesi di uso dei telefoni cellulari intestati al senatore Antonio Milo. Da quei tabulati la Procura ritiene di poter desumere se Milo sia stato effettivamente in cura presso il Centro fisioterapico di Napoli delle cui prestazioni ha chiesto il rimborso all`assistenza sanitaria per i parlamentari. La Procura intende dimostrare l`assenza di qualunque aggancio dei telefonini intestati a Milo alla cella di localizzazione dell`istituto presso cui si sarebbero svolte le cure. Se si dimostrasse che i telefonini di Milo «non sono stati mai lì», si avrebbe la prova del comportamento truffaldino dell`intestatario di quegli apparecchi. A prescindere da evidenti discrepanze (per esempio, l`arco temporale indagato va oltre i limiti entro i quali si sarebbe consumata la truffa), viene ignorata la banalissima possibilità che il parlamentare in questione si sia recato in quel centro privo di telefonino, o con quello intestato alla consorte, o a un lontano cugino di Montù Beccaria. Per converso, l`eventuale presenza di un telefonino del senatore Milo presso il Centro fisioterapico non testimonierebbe, di per sé, delle prestazioni effettivamente rese. Ebbene, di fronte a ciò, il primo luglio l`aula del Senato, con voto segreto e a maggioranza, autorizza l`acquisizione di quei tabulati. Indovinate un po` come si pronunciano e come si schierano i parlamentari di sinistra.
Questi due episodi, pur nella loro profonda diversità, consentono di affrontare il tema già catalogato come «il Pd e il garantismo», da una pluralità di punti di vista. Ci si deve chiedere, innanzitutto, se il garantismo sia un`opzione «di sinistra». Tradizionalmente, così non è stato, e per un formidabile motivo: la componente maggioritaria della sinistra ha sempre privilegiato, e per robuste ragioni storiche, i diritti sociali rispetto a quelli della persona e le garanzie collettive rispetto a quelle individuali. Nella più recente fase politica, il garantismo è stato associato alla destra e ai suoi progetti di riforma della giustizia. In altri tempi, a sinistra, lo si qualificava spregiativamente come «liberale». Negli ultimi decenni, i suoi più qualificati interpreti sono stati – oltre che i radicali – personalità di sinistra e liberali, come Norberto Bobbio e Luigi Ferrajoli.
Ciò dovrebbe bastare per sostenere che il garantismo non è né di destra né di sinistra, o – meglio – può essere sia di destra che di sinistra. (Qui, palesemente, a quelle due categorie novecentesche della politica si attribuisce ancora un qualche, seppur controverso e residuale, significato). Di destra è il garantismo ispirato al principio dello Stato minimo e della libertà dell`individuo da ogni indebita interferenza dell`autorità pubblica. Di sinistra è il garantismo che tutela chi non può farlo da sé, anche per mezzo dell`autorità pubblica e dei suoi strumenti. Dunque, sostenere ora che il Pd si sia convertito a una posizione di destra, o che abbia riscoperto un valore tipicamente di sinistra, significa – in entrambi i casi – ricorrere ad argomenti retorici di circostanza o volerla buttare a tutti i costi in caciara. A destra come a sinistra, infatti, essere garantisti significa innanzitutto riconoscere il primato della persona umana, della sua libertà e della sua dignità, sulle necessità contingenti della sfera politica e dell`autorità pubblica. Insomma, significa riconoscere la prevalenza dei fini rispetto ai mezzi, e delle ragioni della politica rispetto ai suoi strumenti.
L`importante è ricordarsi, con Bobbio, che, «malgrado le solenni dichiarazioni di principio», «la battaglia in difesa del garantismo è pur sempre… una battaglia di minoranza», tante e tali sono le tentazioni e le pressioni di segno opposto.
Da tutto ciò discende una domanda: in nome del garantismo, che ne facciamo di indagati, imputati e condannati in via non definitiva? Va da sé che essi debbano essere tutelati da ogni etichettatura e da ogni anticipazione di pena. Questo dovrebbe valere anche per gli accusati di reati considerati, e non sempre a ragione, gravi, che si vuole costretti in carcere prima del tempo perché «socialmente pericolosi»: e spesso non già per quello che sono accusati di aver fatto, ma per quello che si teme possano fare. E altrettanto dovrebbe valere per chi ricopra ruoli o funzioni istituzionali. Ciò non toglie che chi lo ritenga opportuno – come ha fatto Errani – possa decidere di dimettersi da un incarico pubblico perché raggiunto da un`accusa ritenuta ingiusta, ma in cui non vuole coinvolgere l`istituzione che rappresenta. E questo gli fa onore.
Considerato tutto ciò, il quesito conclusivo è: il Pd «deve, essere garantista? Il fatto che, come si è detto, il garantismo non sia né di destra né di sinistra, o che possa essere sia di destra che di sinistra, e che dunque un partito di centrosinistra non sia necessariamente garantista o il suo contrario, obbliga a una libera decisione politica: essere garantisti oppure no. Il messaggio di Matteo Renzi («finché non c`è una sentenza passata in giudicato un cittadino è innocente. Si chiama garantismo») indica una scelta di campo che andrebbe accolta senza pregiudizi da parte di chi si ritiene garantista. Certo se ne dovrà valutare la coerenza con i comportamenti futuri, ma è un importante passo avanti per chi coltiva il garantismo «da sinistra“, in nome dell`eguaglianza delle opportunità e dei diritti.