La morte in carcere non è archiviata, e soprattutto il gip ha molto (male) da dire su un pm
Un uccellino mi dice che, su una mailing list riservata al dibattito interno ad alcune componenti della magistratura, si trovano due interventi a proposito del cosiddetto ‘caso Uva’. Che, nel tempo, si è rivelato per ciò che effettivamente (e drammaticamente) è: un vero e proprio ‘caso Abate’ (dal nome di Agostino Abate, pubblico ministero titolare del fascicolo relativo alla morte del quarantatreenne operaio di Varese). In quella mailing list un magistrato scrive – semplifico – ‘a difesa di Abate’, un altro gli replica. Ma qui è necessario un brevissimo riepilogo. L`ll marzo scorso il gip respinge la richiesta di archiviazione dell`indagine sulla morte di Uva, avvenuta a qualche ora di distanza dal suo prolungato e illegale trattenimento, nella caserma dei carabinieri di Varese, disponendo l`imputazione coatta per reati gravissimi nei confronti di otto appartenenti alle Forze dell`ordine. Nella stessa ordinanza il gip formula critiche a dir poco severissime nei confronti di Abate. Il magistrato che, all`opposto, ne difende la professionalità e la dirittura morale, definisce il rigetto della richiesta di archiviazione come un atto ‘fisiologico’. Certamente è fisiologico che una richiesta di archiviazione possa venire rigettata ma – a parte questo – nella vicenda giudiziaria in questione non c`è nulla, ma proprio nulla, di ‘fisiologico’. E, ancor meno, di ordinario, consuetudinario, procedurale – fisiologico, appunto – si ritrova nel comportamento di Abate da quel giugno del 2008 a oggi.
 Fossi io a pensarlo, pazienza. Il problema per Abate, e l`opportunità per coloro che ne hanno subito le scorrettezze e gli abusi, è il seguente: le censure nei confronti del procuratore sono davvero innumerevoli e puntualmente convergenti. Già tre giudici avevano sollecitato con forza la procura di Varese a svolgere adeguate indagini su quel tempo e su quel luogo (le oltre due ore trascorse nella caserma) in cui Uva cominciò a morire. Abate nulla fece e – circostanza non fisiologica, direi – pensò bene, per cinque anni e mezzo, di non interrogare mai il solo testimone oculare. Ovvero quell`Alberto Bigioggero, fermato insieme a Uva, trattenuto nella stessa caserma e autore, ventiquattr`ore dopo la morte dell`amico, di un dettagliatissimo esposto alla procura. Quest`ultima e gravissima negligenza, unitamente a mille altre, ha portato a due diverse indagini disciplinari nei confronti di Abate, una da parte del ministero della Giustizia, l`altra da parte della procura genera- le presso la Cassazione, conclusesi entrambe con pesantissime ‘incolpazioni’. Nell`atto della Cassazione si può leggere: Abate ‘è venuto meno agli obblighi generali di imparzialità, di correttezza e di diligenza. (…) ha violato le norme del procedimento che impongono al pubblico ministero di svolgere le indagini necessarie per l`accertamento dei fatti (…) in particolare in caso di morte di una persona’.
Dunque, Abate ha ignorato ‘obblighi procedurali che nella interpretazione che ne è data dalla Corte europea dei diritti dell`uomo, sono rafforzati e impongono alle autorità nazionali che le indagini siano effettive, tempestive e diligenti (…) in tutti i casi in cui la morte di una persona possa essere correlata all`intervento o all`uso della forza da parte di agenti delle forze dell`ordine’. Ancora: ‘In grave violazione del dovere generale di correttezza, nel corso dell`udienza del 16 aprile 2013 (…) affermava, contrariamente al vero, di avere già svolto le indagini preliminari anche nei confronti di tutti gli appartenenti alle forze dell`ordine e per tutte le ipotesi di reato segnalate dalle parti civili’.
Di tutto ciò, nell`ordinanza che ha rigettato l`archiviazione, si trova una circostanziata conferma. Si pensi solo a questo, per così dire, dettaglio: nei confronti di Bigioggero, interrogato solo dopo la censura della Cassazione, ‘la minaccia di incriminazioni se non rende dichiarazioni conformi alle attese degli interlocutori (ovvero i pubblici ministeri) è reiterata’. E lo ‘stile dell`inquisitore’ è tale che il testimone ‘sarà ridotto a un relitto improduttivo’. In genere, nella piccola apologetica provinciale, per offrire una lettura positiva delle cattive maniere di Abate, gli agiografi utilizzano il termine ‘ruvide’. Aggettivo che amo particolarmente, ma che – se applicato al già citato ‘stile dell`inquisitore’ – appare, diciamolo, non all`altezza. Qui ‘ruvido’ corrisponde a una pudica perifrasi che ricorda la storiella di Luis Sepulveda: ‘Preparami un eufemismo, fratello. Un che? chiese il barista. Un Cubalibre’.
Per tornare al ‘caso Abate’, se tutto ciò che risulta dalla documentazione disponibile fosse ‘fisiologico’, non saremmo – come dice la retorica più diffusa – al ‘collasso della giustizia’. Saremmo alla sua eutanasia. Ps. Il 4 marzo scorso, in ragione di quanto sopra esposto, ho presentato istanza di avocazione alla procura generale presso la Corte d`Appello di Milano. Ieri ho avuto notizia del rigetto attraverso la seguente esaurientissima e dettagliatissima motivazione (un autentico distillato di sapere giuridico): ‘Non luogo a provvedere. Si comunichi’. C`è solo da sperare che, nonostante tutto, sia il preludio a una decisione autonoma di sostituzione di un pubblico ministero palesemente motivo di imbarazzo.

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