Come siamo passati dal solito brutto sociogiustificazionismo a un colpevolismo che è anche peggio
Provo a spiegare l`inspiegabile (o meglio, ciò che risulta inspiegabile alle condizioni culturali date). Le teorie socio-giustificazioniste sono tutte giuste e tutte sbagliate. Il loro principale sostenitore, nell`Italia contemporanea, non è stato Toni Negri o – si parva licet chi scrive. E` stata piuttosto gente come Giulio Andreotti. Il quale in più occasioni, e nel corso della presentazione (con Giovanni Bianconi e Valerio Morucci) di un mio libro sulla ‘lotta armata’, affermò soavemente: fossi nato in un campo profughi, anch`io sarei diventato un terrorista. Come detto, tutto giusto e tutto sbagliato. Tutto sbagliato perché alla resa dei conti, ciò che vale è infine il libero arbitrio, comunque lo si voglia chiamare. E tutto giusto perché ogni atto umano mio, tuo, di Andreotti o di Morucci o di Leila Khaled – non può prescindere dall`ambiente in cui origina e matura. Poi, lo sappiamo, secoli di interpretazioni opposte, che rimandano al contesto sociale o al patrimonio psicologico ascritto, non sono stati in grado di fornire risposte pienamente convincenti, se non attraverso una sofisticata combinazione di teorie assai diverse. Ma, ciò che accade nel dibattito pubblico successivo alla tragedia del quartiere Traiano a Napoli, lascia interdetti. Qui la teoria sociogiustificazionista viene rovesciata da cima a fondo e il meccanismo delle attenuanti e delle interpretazioni difensive si trasforma in una macchina colpevolizzante fatta di aggravanti e penalità nei confronti della vittima. Mentre l`intero apparato delle condizioni ambientali e sociali, quelle che potrebbero contribuire a spiegare come mai Davide Bifolco si trovasse lì, in quel momento, in quella compagnia, in quello stato di pericolo, e ne sia morto, diventa un dettagliato atto di accusa nei suoi stessi confronti. Un insieme di circostanze che ‘spiegano’ perché era destinato a morire e perché un carabiniere si è trovato nella posizione che, quella morte, ha finito per determinare. Il risultato finale è che, invece di un passo avanti per ‘temperare’ l`interpretazione sociogiustificazionista con una più equilibrata analisi delle possibilità per chiunque di emanciparsi dalla condanna sociale alla marginalità e al crimine, si fa un tragico salto indietro. E anziché valorizzare il possibile ruolo della libera scelta, dell`autonomia individuale e della presa di coscienza, si dà per fatale che – in quelle circostanze (in tre sul motorino senza casco e senza assicurazione) – le alternative possibili siano due e solo due: o ammazzi o vieni ammazzato. Specularmente, l`intero sistema delle giustificazioni e delle attenuanti, delle scusanti e delle interpretazioni difensive, viene utilizzato per ridurre l`atto del carabiniere o a ‘incidente’ (‘è inciampato’) o a ciò che il codice definisce ‘eccesso colposo di legittima difesa’ (quel ‘luccichio’ che faceva immaginare un`arma). E, così, anche l`azione del carabiniere risulta sovradeterminata dalla fatalità. A me tutto ciò sembra frutto di un`autentica follia. E della assoluta incapacità di differenziare i livelli della riflessione. E, invece, il piano dell`analisi sociale e della valutazione culturale e morale va liberamente indagato, senza pregiudizi e tabù ma tenendolo rigorosamente distinto e separato da quello della critica delle colpe politiche, che pure sono gravissime. Ed entrambi i piani e le radici antiche e profonde delle responsabilità non possono prevalere, nemmeno per un attimo, sulla considerazione della concreta materialità di quanto è accaduto nella notte tra il 4 e il 5 settembre del 2014, nel quartiere Traiano, a Napoli. Se non facessimo così, ricadremmo nel più vieto stereotipo socio-giustificazionista: ad ammazzare Davide Bifolco sarebbe stato, comunque, il contesto. Sia che dessimo a quest`ultimo la responsabilità di aver condotto Davide lì, con i suoi amici poco raccomandabili, con il loro curriculum criminale (vero o presunto) e con la loro ordinaria devianza, fino ad apparire una minaccia da affrontare con le armi. Sia che, per converso, dessimo al contesto l`argomentata motivazione del ricorso alla pistola da parte del carabiniere. In ogni caso verrebbe ignorato il fondamentale dato di realtà e gli ineludibili interrogativi che pone. Ovvero la dinamica dei fatti, l`eventuale responsabilità dei diversi attori, la scena del crimine e la conseguente domanda: è pensabile che un quasi diciassettenne, senza reati e senza armi, trovi lì la sua morte? Ed è stato fatto tutto il possibile affinché, pur in quel quartiere e in quella situazione, ciò che era al massimo un illecito venisse affrontato senza mettere a repentaglio una vita umana? Dunque e in primo luogo: perché il carabiniere ha sparato?
P.S. C`è qualcosa di insopportabile nell`attuale clima culturale. Per chissà quale bizzarra ragione se uno pronuncia una roba come ‘beh, capiamoci, non dico che Bifolco se la sia cercata, ma insomma…’ (ovvero la più banale e consunta delle voci che corrono), si trova sempre qualcun altro che, ammirato, commenta: che coraggio! Che originalità! Che anticonformismo! Così va il mondo: se uno tizio scrive ‘negri’ o ‘froci’ o, magari, ‘bisogna sparare sui barconi degli immigrati’, eccolo diventare un eroe eponimo del politically incorrect. Mentre, ne converrete, è niente più che un poverino dalla penna un po` sudaticcia.
P.S. C`è qualcosa di insopportabile nell`attuale clima culturale. Per chissà quale bizzarra ragione se uno pronuncia una roba come ‘beh, capiamoci, non dico che Bifolco se la sia cercata, ma insomma…’ (ovvero la più banale e consunta delle voci che corrono), si trova sempre qualcun altro che, ammirato, commenta: che coraggio! Che originalità! Che anticonformismo! Così va il mondo: se uno tizio scrive ‘negri’ o ‘froci’ o, magari, ‘bisogna sparare sui barconi degli immigrati’, eccolo diventare un eroe eponimo del politically incorrect. Mentre, ne converrete, è niente più che un poverino dalla penna un po` sudaticcia.