Gli attuali conflitti sociali incidono sui diritti della persona, compresa la sfera sessuale. Questioni di potere
Sempre più spesso al centro della discussione pubblica emergono le tensioni tra diritti individuali, condizioni socioeconomiche e natura politica delle decisioni che riguardano la vita intima delle persone. Nel giugno scorso, una sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti (sul caso Burwett v. Hobby Lobby) ha stabilito che le aziende che non siano public companies possono rifiutarsi di fornire alle proprie dipendenti la copertura sanitaria per i contraccettivi, se il diniego si fonda su motivi di natura religiosa. Secondo le disposizioni dell’Obamacare, infatti, i datori di lavoro hanno l’obbligo di pagare le spese per l’assicurazione sanitaria ai propri dipendenti e di coprire i costi relativi a contraccettivi (anche d’emergenza), interventi di sterilizzazione e programmi di assistenza per la salute riproduttiva. Per la Corte suprema, invece, tale prescrizione non sarebbe coerente con il Religious Freedom Restoration Act, ovvero con quella norma – introdotta nel 1993 – che impone al legislatore di evitare leggi persecutorie nei confronti della libertà religiosa o che rappresentino un limite sostanziale per l’esercizio di quella libertà. Così, la scelta di porre a carico dei datori di lavoro anche i contraccettivi e gli abortivi è stata giudicata incompatibile con il principio della non eccedenza dell’intervento pubblico a danno della libertà religiosa. E viene da chiedersi – sul piano dell’interpretazione della legge – con quali argomenti la stessa Corte respingerà le nuove istanze da parte dei datori di lavoro che si rifiuteranno di garantire le spese per le trasfusioni (qualora siano testimoni di Geova), gli antidepressivi (qualora aderiscano a Scientology), o per le terapie e i farmaci eventualmente proibiti da alcuni culti. Intanto la sentenza ha suscitato un dibattito molto acceso, dal momento che la controversia riguarda direttamente il rapporto – che può farsi conflittuale – tra diritto alla salute e diritto alla libertà religiosa. Il rischio, infatti, è che la preoccupazione per la conservazione del posto di lavoro, tanto più in un periodo di depressione economica, confligga con la volontà di assecondare desideri e pulsioni collegati alla realizzazione della propria personalità e alla piena auto-determinazione. E ciò va messo nel conto anche se oggi gli effetti della crisi sociale non sembrano sufficienti a far scivolare la sfera dei diritti individuali all’ultimo gradino della sensibilità dell’opinione pubblica e degli interessi organizzati com’era fino a qualche decennio fa. Ed è più difficile disporre le diverse famiglie di diritti secondo un ordine gerarchico di importanza e di priorità, che porti all’accantonamento o al differimento a tempi più prosperi di quei diritti considerati come ‘beni di lusso’. Gli attuali conflitti sociali contengono e integrano, almeno potenzialmente, i diritti della persona nella dinamica della mobilitazione per la conquista o la difesa dei diritti economici collettivi: così che difendere il posto di lavoro non sembra essere altra cosa rispetto alla difesa della dignità e dell’autonomia individuale del lavoratore per quanto riguarda gli stili di vita, le preferenze sessuali, le nuove forme di coniugalità e genitorialità, le scelte in materia di libertà terapeutica e fine vita. E ancora al conflitto tra diritti (quello al lavoro e quello alla maternità, per esempio) rimanda un altro recentissimo fatto di cronaca. Un fatto così singolare, per certi aspetti, da aprire uno scenario che arriva a sfiorare la questione del rapporto originario tra potere e corpo. Si tratta della decisione presa da alcune aziende, fra cui Facebook e Apple, di concedere alla proprie dipendenti un bonus di 20 mila dollari per consentire loro di congelare i propri ovuli. Ciò permetterebbe, a chi lo volesse, di concentrarsi esclusivamente sulla carriera e di rimandare il momento della maternità. Permetterebbe dunque di scegliere quando avere un figlio, per non rischiare (termine significativo) dì sacrificare (termine ancora più significativo) il curriculum vitae: un’iniziativa – è bene ricordarlo – che s’inserisce nei piani per la famiglia predisposti dalle imprese. Da una parte, il bonus per la crioconservazione degli ovuli è sicuramente un’opzione in senso liberale, che può agevolare una parte delle donne, ma che resta un’opzione (dunque, una scelta non imposta) finché è possibile una contrattazione. D’altra parte, l’introduzione di questo bonus segnala una nuova fase dei processi di ‘invasione’ della sfera più intima della persona dall’esterno (stato, diritto, economia). Senz’altro si può ritenere che le procedure di amministrazione, controllo e gestione del corpo femminile stanno conoscendo un nuovo passaggio: dall’ingerenza invasiva dell’autorità statale a quella regolatrice e contrattualizzata del datore di lavoro. In costante movimento oscillatorio, il campo delle scelte è ridotto (contraccettivi) o ampliato (congelamento ovuli). In un verso o nell’altro, ciò che emerge è la pulsione intrusiva che queste forme contemporanee di governo dei corpi sono in grado di produrre. Questa pulsione conosce pieghe anche più tragiche quando i corpi di cui si parla appartengono alla povertà e all’emarginazione. E qui è ancora una volta il corpo della donna -grembo di tutti i cascami gerarchici e proprietari e nello stesso tempo luogo di rottura e di rivendicazione di libertà – a venire spossessato ed espropriato per una ragione esterna: privata non in quanto personale, bensì in quanto sottomessa a una autorità estranea. Tuttavia non si tratta di una ‘questione femminile’ in senso stretto né di un’istanza di parità, quanto piuttosto di un problema di sovranità (quella dell’individuo) e dunque di potere (quello politico-giuridico e quello economico) sul corpo umano. Per queste ragioni occorre maneggiare con cautela i neofemminismi alla Sheryl Sandberg, direttore operativo di Fa-cebook. Ed è già arduo definirli ‘femminismi’, dal momento che sembrano proporsi, piuttosto, come altrettante strategie di conquista del potere (attenzione: il potere come oggi definito dai modelli dominanti) attraverso l’assunzione mimetica dei valori propri della competizione maschile. E dal momento che – questo è il punto – non mettono affatto in discussione i rapporti sociali per come si sono andati affermando all’interno dei sistemi occidentali. In altre parole: ci sono ancora molte barriere con cui misurarsi prima di arrivare al congelamento degli ovuli a fini di carriera. Appare evidente, a questo punto, che fatti ‘di cronaca’ come la sentenza Hobby Lobby o il bonus per il congelamento degli ovuli meritano di essere letti all’interno di processi più ampi, come quello, così frequente, del conflitto tra due interessi diversi; e quello relativo alle tecniche di governo dei corpi. Prima di interrogarsi sugli scenari che questa serie di eventi può produrre sulla vita nelle comunità organizzate (e per anticipare delle possibili risposte), è fondamentale inquadrare correttamente la natura di questi fenomeni. Ci si troverà così a fare i conti con il tema dell’esaltazione della soggettività, di cui il corpo ha finito per diventare il fulcro, e a scorgere come – nel conflitto tra la libertà religiosa e il diritto alla salute, così come in quello tra le mete professionali e la vita privata – esiste e va compresa una tensione originaria. Una tensione che non può essere ridotta a una grammatica binaria e selettiva, e che non può essere risolta arbitrariamente con l’imposizione di una gerarchia contingente dei valori. Inoltre, si dovrà risalire a uno dei nessi originari del potere: quello che vede il corpo come posta in gioco di tutte le decisioni sovrane, per comprendere che la volontà di controllo sulle scelte di procreazione non è altro che l’ulteriore declinazione di un fenomeno antico. Un fenomeno che, muovendo dagli inizi dell’età moderna, si è irrobustito e assestato definitivamente nelle democrazie occidentali contemporanee. Fuori da questa impostazione il rischio è quello di una regressione dello stato costituzionale di diritto a paradigma politico e giuridico premoderno. Contro questa possibilità, bisognerebbe piuttosto far riemergere la consapevolezza dei conflitti e della tragicità delle scelte, struttura e sfondo del politico. Prendere sul serio i conflitti sui diritti e sulle libertà vuol dire comprendere i diritti e le libertà, essi stessi, in quanto conflitti. Vuol dire, per questo, assumere che ogni vita sia un percorso che si snoda fra scelte e cadute, arretramenti e accelerazioni, da un lato; dall’altro, vuol dire cogliere l’individualità -per dirla con Nietzsche – nel suo ‘peso unico’. Un peso che assecondi anche il desiderio, qualunque esso sia: quello di essere madre e single e ‘donna in carriera’. In questo discorso, in conclusione, i nodi da analizzare sono almeno due. Il primo: come garantire che il diritto alla scelta della propria forma di procreazione, di maternità, di progetto professionale e dunque di vita in senso compiuto, non si riduca a un processo selettivo fra una libertà e un diritto, fra il sacrificio del salario o del con-traccettivo? Il secondo, come strappare il corpo della persona – della donna, in questo caso – da quel campo in cui si trova oggetto della decisione di un potere, prima politico-giuridico, oggi addirittura economico?