‘Senatore Luigi Manconi, Pd, in quanto presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani, lei sta diventando l`interlocutore più in vista delle forze di polizia. Ieri non a caso ha incontrato il comandante dell`Arma dei carabinieri, il generale Leonardo Gallitelli e il capo della Polizia Alessandro Pansa. E anche ieri insisteva sulla «questione della violenza presente nella cultura e nelle pratiche di settori non marginali dei corpi di polizia». Ma quanto sono diffuse, a suo parere, queste pratiche?
«Premesso che parliamo di un corpo ampio, fatto di 94 mila poliziotti e oltre 100 mila carabinieri, è provato che esiste un numero ridotto di operatori che ricorre a metodi violenti. Sarebbe una percentuale fisiologica, così come si ritrova una quota di illegalità in qualunque settore delle istituzioni. Ma questo è l`apparato titolare dell`uso legittimo della forza: ed è probabile che ciò finisca per assecondare la degenerazione verso abusi e soprusi. Ma non sarebbe un problema irreparabile se, intorno ai violenti, non si mobilitasse un numero assai più ampio di persone pronte a offrire loro giustificazione e tutela psicologica e culturale. Questo il punto: la pulsione corporativa determina una sorta di logica ferina e settaria, che a sua volta ispira una solidarietà da spogliatoio, un po` marziale, un po` ultras».
La possiamo chiamare un`area grigia?
«Grigia, ma attiva. Mentre la quota dei disponibili alla violenza potrebbe essere circoscritta, controllata, e resa inoffensiva, ciò è ostacolato dalla rete di protezione tessuta intorno a loro».
Il Sap secondo lei darebbe copertura politica e sindacale a questo sentimento?
«Non c`è dubbio che all`interno delle forze di polizia si ritrovino componenti estremamente diverse. Perciò considero un grande risultato che almeno quattro sigle sindacali, ovvero il Siulp, il Silp, l`Anfp e il Siap, abbiano condannato con nettezza gli applausi di Rimini. La possibilità di emancipazione da quel blocco monolitico che è il corporativismo delle forze di polizia può emergere solo quando finalmente si realizza una spaccatura tra posizioni diverse intorno a questioni essenziali come i diritti del cittadino».
Ben vengano le polemiche interne, allora.
«È evidente che il faticoso processo di democratizzazione delle polizie si è arrestato. Quindi ritengo che sia estremamente salutare questa rottura della logica unitaria finora prevalente. E incredibilmente si deve alla madre di Federico Aldrovandi se un processo di consapevolezza si è avviato. Ma c`è anche un fattore materiale che non va ignorato».
Ovvero?
 «Fino a che le paghe rimarranno come sono, ovvero salari da fame, questo fornirà giustificazioni e attenuanti. Come posso tutelare i diritti del cittadino, se a me non viene riconosciuta la minima dignità economica e di ruolo? Insomma, la miseria materiale della condizione degli agenti, così come delle strutture a loro disposizione, costituisce un ostacolo formidabile alla maturazione culturale di chi svolge funzioni così delicate».
L`altro giorno a Torino ci sono stati nuovi incidenti di piazza. Che cosa prova davanti a quella foto di un agente di polizia imbrattato del suo sangue?
«Un grande dolore».
Lei si batte perché gli agenti abbiano il numero identificativo. Le resistenze sono forti.
«È risibile che si dica che il numero identificativo possa risultare pericoloso. E` ovvio che la possibilità di collegare numero e identità dell`agente responsabile di illegalità sarebbe esclusivamente affidata alla magistratura e agli organi di disciplina dei corpi di polizia».

Ne Parlano