Domenica, Avvenire pubblicava la testimonianza di Matteo, 19 anni, affetto da grave disabilità, che si rivolgeva a Fabiano Antoniani, il 40enne rimasto tetraplegico e cieco in seguito a un incidente, che ieri ha potuto porre fine alla propria esistenza in una clinica svizzera. Pur nella delicatezza delle parole di Matteo e nella attenzione del quotidiano che le ospitava, emergeva una crudele contrapposizione tra due opzioni e due idee della vita e della morte che ritengo possa essere ricomposta con saggezza, attraverso un percorso inevitabilmente faticoso. Se, invece, una tale ricomposizione non viene cercata con intelligenza, il risultato sarà inevitabilmente quello di ridurre una questione di altissima drammaticità a una modesto conflitto politico. O a una controversia intellettuale o, nella migliore delle ipotesi, a una irrisolta disputa morale. I filosofi del diritto hanno definito scelte tragiche tali dilemmi perché richiamano il confronto, che può essere assai aspro, tra due diritti entrambi legittimi,ovvero due interessi giuridici di “pari rango”. In questo caso, quello all`autodeterminazione del paziente e alla sua possibilità di rinunciare alle cure e, in fine alla vita, e, per converso, quello di affermare la propria esistenza anche quando il corpo deperisce e decade, la sensibilità si riduce e le relazioni con gli altri si affievoliscono fino ad esaurirsi. Eppure a me sembra che ciò che emerge, dalle due scelte, è il dato comune di un irresistibile e irriducibile principio di libertà: ovvero quella «sovranità su di sé e sul proprio corpo» teorizzata dal pensiero liberale (in particolare da John Stuart Mill) e che, in ultima analisi, alimenta la decisione di Fabiano di morire e la decisione di Matteo di vivere. Contro la prinia di queste due decisioni, si ricorre troppo spesso a un armamentario grossolano, che qui non è utile discutere, ma anche ad argomenti più sofisticati e profondi, che è fondamentale affrontare. Come: la libertà individuale può essere
assoluta? Il primo limite, quello di non ledere altri, qui non è in gioco e, tuttavia, non esaurisce la domanda. Sappiamo, infatti, che il diritto contemporaneo limita l`assolutezza della libertà della persona e l`incondizionata disponibilità del corpo, per esempio, vietando di sottoporsi volontariamente a schiavitù o alla vendita di propri organi vitali.
Ma la decisione su di sé non può spettare che all`individuo quando il protrarsi della patologia e della vita comprometta in maniera irreversibile la sensibilità la dignità infliggendo al corpo e alla mente sofferenze non lenibili. Ancora: nel caso di Fabiano, e di altri conosciuti, quella decisione non è stata l`esito, certo, di una concezione tutta individualistica e atomizzata dell`esistenza. Al contrario, ciò che ancora resisteva del legame sociale intorno a persone affette da patologie invalidanti, ha aiutato a far sì che quelle scelte «tragiche» non venissero effettuate nella desolazione di un abbandono emotivo e di una solitudine senza affetti. Infine, la scelta di Fabiano Antoniani non nasce nemmeno – come troppo spesso viene sostenuto – da una concezione per così dire «materialistica» della vita. Non c`è dubbio che un merito della cultura cattolica è stato quello di proporre un`idea non economicistica, consumistica e salutistica dell`esistenza umana: la vita come prestazione che perde valore quando viene meno la sua originaria perfezione o quando già nasce come deficitaria. Giustissimo, ed è proprio questo che ha portato a una crescente sensibilità nei confronti dell`handicap, della disabilità, della vulnerabilità. E, infatti, checché strumentalmente si dica, non c`è in quanti sostengono la necessità di regolamentare le tematiche di fine vita, alcuna tentazione eugenetica. E nemmeno alcuna concezione superomistica o «prestazionistica» che riduce la fragilità dell`essere umano e della sua esistenza in un mondo ostile a criteri di produttività e rendimento. Al contrario, c`è in questo la consapevolezza tragica dei limiti: quelli fisici e quelli del progresso scientifico, quelli della tenuta psicologica e quelli dello sviluppo delle biotecnologie. C`è, piuttosto, il riconoscimento di una debolezza e una dichiarazione di umiltà. Quella debolezza Fabiano l`ha affrontata nel corso degli ultimi tre anni – a partire dalla notte dell`incidente e attraverso il ricorso a cure innovative e a un`intensa attività di socializzazione – fino a che non ha retto più. Matteo, da parte sua, continua a impegnarsi per mostrare quel prodigio di bellezza» che è la sua vita, nonostante tutto. Ma tra Matteo e Fabiano c`è una differenza enorme e iniqua: il primo ha il diritto pieno e incondizionatamente riconosciuto, di fare la sua scelta. Il secondo, per attuare la propria, è entrato in conflitto con la legge e così hanno dovuto fare í suoi cari e chi, come Marco Cappato e l`associazione Luca Coscioni, ha voluto prestargli aiuto. Si ricorderà con quanta disperata ostinazione – e dunque con quanta fiducia nello stato democratico – Fabo si è rivolto al Presidente della Repubblica, alle istituzioni e al parlamento, dopo di ché, la scelta di recarsi presso la clinica svizzera è diventata inevitabile. E c`è da aggiungere che (come è noto a tutti, ma proprio a tutti) l`eutanasia nel nostro Paese è diffusamente praticata in forma clandestina; ed è più facile ricorrervi se si dispone di risorse materiali e immateriali, di informazioni conoscenze e relazioni. E così anche la morte assume una sua tonalità classista. Infine, tutta la materia è attraversata oggi da rapide trasformazioni e bisogna avere il coraggio di non restare fermi, di sottoporsi alle contestazioni, ma anche di guardare oltre tutti i confmi dottrinali, compresi quelli delle ideologie e delle teologie. Nel 1957, Pio XII rivolgendosi al Congresso nazionale della Società italiana di anestesiologia, così affermava: «l`uso dei narcotici per morenti o malati in pericolo di morte è lecito anche se l`attenuazione del dolore renderà più breve la vita». Se la lezione di Pio XII fosse stata colta già allora da credenti e non credenti, oggi probabilmente la discussione pubblica nel nostro paese non sarebbe così arretrata e così rovinosamente faziosa.


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