La Cei si attrezzi a discutere delle unioni familiari ‘a prescindere dall’orientamento sessuale’
Di quest’ultima scena bellica del conflitto, in gran parte mimato, tra cattolici italiani e laici italiani, colpisce in primo luogo il fragore. Si potrebbe dire: ‘Il clangore sincronizzato delle lance’ (Brent Weeks) e lo sferragliare delle mazze e delle macchine da guerra. L’occasione, infatti, sembra davvero pretestuosa e amplificata assai più del ragionevole: la diffusione di tre volumetti dal titolo ‘Educare alla diversità’ indirizzati agli studenti delle scuole primarie e secondarie e finalizzati a combattere l’omofobia.
E, dunque, o si tratta di una scaramuccia tra le tante, destinata a spegnersi nel giro di poche ore, oppure siamo di fronte a una parossistica costruzione ideologica che esige aggressività per meglio definire i profili dei due contendenti. Se spogliata di tutto ciò, infatti, la polemica in corso è non solo legittima, ma persino utile. Ma va affrontata come, appunto, una discussione pubblica su importanti questioni dì valori non come l’ennesimo episodio di una secolare guerra di religione.
Le tematiche trattate in quei testi per le scuole, si traducono in altrettante ‘linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze’. La reazione della Conferenza episcopale italiana è stata a dir poco dura. Il presidente, Angelo Bagnasco, si è espresso come segue: ‘E’ la lettura ideologica del ‘genere’ – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni’.
A questo punto, ci sono due soluzioni semplici. La prima è quella di richiamare il principio di laicità e ricordare che, tre giorni fa, l’Inghilterra ha riconosciuto la piena dignità, sotto tutti i profili, del matrimonio tra persone dello stesso sesso; e, nell’occasione, l’arcivescovo di Canterbury, massima autorità della chiesa anglicana, ha detto di ‘accettare la situazione’ Conseguenza di questo è la seconda soluzione semplice: Angelo Bagnasco la pensa in un modo, Luigi Manconi la pensa in un altro. (E non mi si venga a dire: e chi sei tu a petto del presidente della Cei? Trattasi di un elementare esercizio di rettorica, sciocchini). Ma si può andare anche oltre, e procedere per itinerari più sofisticati.
Che la coppia eterosessuale non rappresenti, nell’ordinamento nazionale ed europeo l’unico modello di relazione meritevoledi tutela, è un dato acquisito. Lo si desume dalla stessa sentenza 138/2010 con cui, pure, la Corte costituzionale ha negato di poter estendere tout court alle coppie omosessuali, in via interpretativa, l’istituto del matrimonio come disciplinato dal codice civile. Nel negare tale possibilità (che presuppone una discrezionalità rimessa soltanto al legislatore), la Corte ha affermato che alle unioni omosessuali va garantito quel complesso di diritti sanciti dall’art. 2; e in particolare ‘il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone (…) il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri’.
A tale regolamentazione non può ritenersi d’ostacolo il modello familiare (fondato sulla relazione eterosessuale) considerato dal costituente, in primo luogo perché ‘i concetti di famiglia e matrimonio non si possono ritenere ‘cristallizzati’ con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché (…) dotati della duttilità propria dei principi costituzionali’. E, dunque, quel modello familiare va interpretato ‘tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi’. Inoltre, la stessa definizione costituzionale di famiglia come ‘società naturale’ ne afferma – come emerge dai lavori della Costituente – ‘soltanto’ la pre-esistenza rispetto allo stato e, quindi, l’originarietà’ dei diritti che devono esserle riconosciuti. La famiglia, tutelata dagli artt. 2 e 29 della Costituzione, come formazione sociale nella quale, per prima, si svolge la personalità, sfuggirebbe dunque a modelli che ne volessero cristallizzare il contenuto, in quanto appunto realtà pre-giuridica, sottratta a rigide determinazioni di tipo puramente normativo.
La Corte riconosce, insomma, la rilevanza costituzionale delle relazioni non eterosessuali, fondata sul diritto alla libertà di sviluppo della persona nella vita di relazione, quale essa sia. La coppia omosessuale, pertanto, ha il diritto fondamentale di ottenere il riconoscimento giuridico della propria unione (Franco Gallo): spetta al legislatore decidere la forma di quell’unione, proprio perché si presuppone una discrezionalità politica affidata alla rappresentanza parlamentare.
Posizione, questa, conforme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha riconosciuto anche alle unioni omosessuali il diritto alla tutela della vita familiare (e non solo della vita privata), in base a un’interpretazione evolutiva oggi rafforzata dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale articolo sancisce il diritto alla vita familiare a prescindere dall’orientamento sessuale, ‘alla luce dell’evoluzione della società’, come afferma, per ogni diritto fondamentale, il preambolo della Carta stessa.
E’ su questo piano che la Cei dovrebbe iniziare a misurarsi. E tanto meglio se lo farà senza squilli di tromba e senza evocare scenari apocalittici.
E, dunque, o si tratta di una scaramuccia tra le tante, destinata a spegnersi nel giro di poche ore, oppure siamo di fronte a una parossistica costruzione ideologica che esige aggressività per meglio definire i profili dei due contendenti. Se spogliata di tutto ciò, infatti, la polemica in corso è non solo legittima, ma persino utile. Ma va affrontata come, appunto, una discussione pubblica su importanti questioni dì valori non come l’ennesimo episodio di una secolare guerra di religione.
Le tematiche trattate in quei testi per le scuole, si traducono in altrettante ‘linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze’. La reazione della Conferenza episcopale italiana è stata a dir poco dura. Il presidente, Angelo Bagnasco, si è espresso come segue: ‘E’ la lettura ideologica del ‘genere’ – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni’.
A questo punto, ci sono due soluzioni semplici. La prima è quella di richiamare il principio di laicità e ricordare che, tre giorni fa, l’Inghilterra ha riconosciuto la piena dignità, sotto tutti i profili, del matrimonio tra persone dello stesso sesso; e, nell’occasione, l’arcivescovo di Canterbury, massima autorità della chiesa anglicana, ha detto di ‘accettare la situazione’ Conseguenza di questo è la seconda soluzione semplice: Angelo Bagnasco la pensa in un modo, Luigi Manconi la pensa in un altro. (E non mi si venga a dire: e chi sei tu a petto del presidente della Cei? Trattasi di un elementare esercizio di rettorica, sciocchini). Ma si può andare anche oltre, e procedere per itinerari più sofisticati.
Che la coppia eterosessuale non rappresenti, nell’ordinamento nazionale ed europeo l’unico modello di relazione meritevoledi tutela, è un dato acquisito. Lo si desume dalla stessa sentenza 138/2010 con cui, pure, la Corte costituzionale ha negato di poter estendere tout court alle coppie omosessuali, in via interpretativa, l’istituto del matrimonio come disciplinato dal codice civile. Nel negare tale possibilità (che presuppone una discrezionalità rimessa soltanto al legislatore), la Corte ha affermato che alle unioni omosessuali va garantito quel complesso di diritti sanciti dall’art. 2; e in particolare ‘il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone (…) il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri’.
A tale regolamentazione non può ritenersi d’ostacolo il modello familiare (fondato sulla relazione eterosessuale) considerato dal costituente, in primo luogo perché ‘i concetti di famiglia e matrimonio non si possono ritenere ‘cristallizzati’ con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché (…) dotati della duttilità propria dei principi costituzionali’. E, dunque, quel modello familiare va interpretato ‘tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi’. Inoltre, la stessa definizione costituzionale di famiglia come ‘società naturale’ ne afferma – come emerge dai lavori della Costituente – ‘soltanto’ la pre-esistenza rispetto allo stato e, quindi, l’originarietà’ dei diritti che devono esserle riconosciuti. La famiglia, tutelata dagli artt. 2 e 29 della Costituzione, come formazione sociale nella quale, per prima, si svolge la personalità, sfuggirebbe dunque a modelli che ne volessero cristallizzare il contenuto, in quanto appunto realtà pre-giuridica, sottratta a rigide determinazioni di tipo puramente normativo.
La Corte riconosce, insomma, la rilevanza costituzionale delle relazioni non eterosessuali, fondata sul diritto alla libertà di sviluppo della persona nella vita di relazione, quale essa sia. La coppia omosessuale, pertanto, ha il diritto fondamentale di ottenere il riconoscimento giuridico della propria unione (Franco Gallo): spetta al legislatore decidere la forma di quell’unione, proprio perché si presuppone una discrezionalità politica affidata alla rappresentanza parlamentare.
Posizione, questa, conforme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha riconosciuto anche alle unioni omosessuali il diritto alla tutela della vita familiare (e non solo della vita privata), in base a un’interpretazione evolutiva oggi rafforzata dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tale articolo sancisce il diritto alla vita familiare a prescindere dall’orientamento sessuale, ‘alla luce dell’evoluzione della società’, come afferma, per ogni diritto fondamentale, il preambolo della Carta stessa.
E’ su questo piano che la Cei dovrebbe iniziare a misurarsi. E tanto meglio se lo farà senza squilli di tromba e senza evocare scenari apocalittici.