Papa Francesco e la verità su san Tommaso, simbolo di chi scruta l’abisso del dolore fisico
All`interno di una liturgia già di per sé ricca di simboli – gli abiti viola a richiamare la penitenza, il pastorale e il calice fatti con il legno delle barche dei migranti e molti altri segni ancora da decifrare – il testo dell`omelia tenuta da Papa Francesco a Lampedusa è denso, densissimo, di significati. Il ricorso a parole ed espressioni – come la ‘compassione’ e la ‘grazia di piangere’ – di forte impatto comunicativo e, allo stesso tempo, di robusta radice ecclesiale, ma anche letteraria e sapienziale, fa venire in mente una precedente omelia. Quella tenuta il 3 luglio scorso nella casa di Santa Marta, nella festività di San Tommaso. In quella occasione, a proposito dell`apostolo che, racconta Giovanni, volle mettere le sue dita nelle piaghe di Cristo, perché dubitava della sua resurrezione, il Papa ha compiuto una interessantissima operazione di verità linguistica. Nel senso comune, tanto più di una società come quella italiana dove la cultura diffusa è di origine cattolica, la figura di Tommaso si identifica, per antonomasia, con quella dell`incredulo. Ma di un incredulo che non esprime affatto lo scetticismo del saggio: ovvero, di colui che, ritenuta l`impossibilità di raggiungere una conoscenza che coincida con la verità, fa del dubbio il proprio metodo per accostarsi al reale. Nel modello popolare di incredulo derivato dalla figura di Tommaso ciò che emerge è, piuttosto, la sospettosità del diffidente, l`atteggiamento guardingò dell`insicuro, l`ansia di chi si sente costantemente esposto all`inganno. Nella rappresentazione quotidiana, quello che non si fa prendere per il naso, quello a cui non la si dà a bere, quello che reputa sempre e comunque di saperla lunga. Non c`è nulla, ovviamente, dell`intuizione filosofica e dell`attitudine critica dello scettico e della sua visione tragica dell`esistenza: c`è, invece, la meschinità gretta di chi mai si affida agli altri, in quanto negli altri si specchia e negli altri vede la propria stessa ordinaria piccineria.
La materialità dell`atto
Sempre dal racconto evangelico, ma in un senso diverso e per certi aspetti distorto rispetto a quello originario, è diventata espressione comune il ‘mettere il dito nella piaga’. La formula esprime, nel linguaggio córrente, una sorta di ostinazione – un po` morbosa e sadica – nell`enfatizzare vizi e mali, nel sottolineare aporie e contraddizioni, nell`evidenziare piccole e grandi catastrofi. La figura che ne emerge alacremente dedita, in maniera ossessivo-compulsiva, a mettere il dito nella piaga – risulta più simile a uno iettatore di professione che al disincantato osservatore della realtà, che ne descrive impietosamente i tratti più crudeli.
Papa Francesco in quell`omelia rovescia tutto ciò: il mettere il dito nella piaga è restituito interamente alla concretezza e alla materialità dell`atto fisico, del ‘toccare con mano’, del guardare fino in fondo e fino al fondo, scrutando l`abisso del dolore e della sua origine fisiologica. Là dove la ferita non si è sanata ma si è fatta, appunto, piaga. La vita di Tommaso è cambiata perché e quando ha toccato le piaghe di Gesù, ha detto il Papa: ‘Le piaghe le trovi facendo opere di misericordia, dando al corpo – al corpo – e anche all`anima, ma al corpo – sottolineo – del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale’. Capito?
La materialità dell`atto
Sempre dal racconto evangelico, ma in un senso diverso e per certi aspetti distorto rispetto a quello originario, è diventata espressione comune il ‘mettere il dito nella piaga’. La formula esprime, nel linguaggio córrente, una sorta di ostinazione – un po` morbosa e sadica – nell`enfatizzare vizi e mali, nel sottolineare aporie e contraddizioni, nell`evidenziare piccole e grandi catastrofi. La figura che ne emerge alacremente dedita, in maniera ossessivo-compulsiva, a mettere il dito nella piaga – risulta più simile a uno iettatore di professione che al disincantato osservatore della realtà, che ne descrive impietosamente i tratti più crudeli.
Papa Francesco in quell`omelia rovescia tutto ciò: il mettere il dito nella piaga è restituito interamente alla concretezza e alla materialità dell`atto fisico, del ‘toccare con mano’, del guardare fino in fondo e fino al fondo, scrutando l`abisso del dolore e della sua origine fisiologica. Là dove la ferita non si è sanata ma si è fatta, appunto, piaga. La vita di Tommaso è cambiata perché e quando ha toccato le piaghe di Gesù, ha detto il Papa: ‘Le piaghe le trovi facendo opere di misericordia, dando al corpo – al corpo – e anche all`anima, ma al corpo – sottolineo – del tuo fratello piagato, perché ha fame, perché ha sete, perché è nudo, perché è umiliato, perché è schiavo, perché è in carcere, perché è in ospedale’. Capito?