IL DIBATTITO ITALIANO SUL FINE VITA RISCHIA DI NON USCIRE DAL PIANO DELLE IDEOLOGIE E DELLE EMOZIONI e dal terreno della guerra all`ultimo sangue tra avverse opzioni morali. Per questa ragione è quanto mai necessario e urgente dotarsi di una documentazione per quanto possibile oggettiva e scientifica sulla portata di un fenomeno come quello dell`eutanasia illegale, che resta generalmente sottovalutato o rimosso o censurato. Se da una parte vi è una percezione diffusa che nel nostro Paese l`eutanasia faccia parte della prassi (comune ancorché occulta), dall`altra, è vero che i dati a disposizione per definire la questione sono scarsi e non sistematici, dovuti alle iniziative volontaristiche dei ricercatori: iniziative che, per quanto lodevoli, risultano inevitabilmente viziate dal limite della parzialità. Non esiste, dunque, uno studio ufficiale, completo e dettagliato, valido per tutto il territorio nazionale.
Un`indagine conoscitiva sull`eutanasia – come quella sollecitata da Maria Antonietta Farina Coscioni su l`Unità del 7 maggio scorso – si configura come atto indispensabile ai fini della discussione e dell`approvazione di una legge che disciplini in modo coerente la materia. In Olanda, fu proprio uno studio del genere a introdurre nel 1990 un dibattito assai intenso all`interno del Parlamento, che terminò con l`approvazione dell`Euthanasia Act nel 2002. Ma l`indagine olandese fu commissionata e realizzata dal governo attraverso l`istituzione di un apposito organismo (la Commissione Remmelinck) con il consenso della Royal Dutch Medical Association. Lo studio coinvolse tutti i medici olandesi, sottoponendo loro un questionario anonimo, e riuscì a raggiungere la copertura del 95% dei decessi avvenuti in quell`anno. In questo modo, i risultati riprodussero la fotografia fedele di quelle che erano le pratiche più frequentemente utilizzate, evidenziando come l`eutanasia attiva fosse già una realtà «sotterranea» eppure assai diffusa (stimata intorno all`1,7% dei decessi). Negli anni successivi il governo olandese dispose un monitoraggio con gli stessi criteri del primo report, a cadenza quinquennale.
 Un`indagine così capillare – richiesta dall`Associazione Luca Coscioni sin dal 2006 – esula totalmente dalle possibilità e dalle funzioni dell`organismo che presiedo (la Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato), che non dispone dei mezzi, delle competenze e dei poteri necessari. Resta ciò che posso fare io, in qualità di membro del Parlamento. Personalmente ritengo che i rapporti di forza, per così dire ideologici – specie all`interno del Senato – rendano ardua qualunque iniziativa per l`approvazione di un disegno di legge sull`eutanasia. Questo non deve limitare in alcun modo l`attività per sollecitare un dibattito, che è mia premura-dal momento che ho depositato un progetto di legge in materia – tenere aperto: e che è necessario sviluppare innanzitutto sul piano culturale. Se è vero, come è vero, che l`opinione pubblica è probabilmente già assai sensibile e addirittura maggioritariamente favorevole, restano resistenze sorde e ostilità robuste. Ma molto, moltissimo, c`è da discutere e da approfondire.
Si pensi alle seguenti affermazioni, fatte da due Papi in tempi non recenti. La prima è di Pio XII che, nel 1957, nella Allocutio ad participantes XI Congressum Societatis Itaficae de anaesthesiologia, così rispondeva a un essenziale quesito: «La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei narcotici (quando è richiesta da un` indicazione medica), è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all`avvicinarsi della morte e se si prevede che l`uso dei narcotici abbrevierà la vita)? Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l`adempimento di altri doveri religiosi e morali: sì».
E Paolo VI, nel 1970, rivolgendosi ai medici cattolici sosteneva: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un`inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l`ora ineluttabile e sacra dell`incontro dell`anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita».
Sia chiaro: nulla che abbia a che vedere direttamente con l`eutanasia e tutttavia, lette quelle parole di Pio XII e di Paolo VI, viene da intristirsi per come la dottrina e la pastorale della Chiesa cattolica siano così cupamente regredite nel corso degli ultimi decenni.

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