Antonietta Farina Coscioni, su Europa di ieri, pone una domanda: «Esiste, per un essere umano che sia pienamente consapevole e maggiorenne, il diritto di conoscere chi sono i suoi genitori biologici, oppure no?». La risposta della Farina Coscioni, così come la mia, è nettamente positiva. In ogni caso, l`interrogativo richiama dilemmi giuridici e morali di grandissimo spessore, conseguenza ineludibi le delle grandi trasformazioni in atto. Per un verso, nella ricerca scientifica e nelle biotecnologie e, per l`altro, nelle relazioni interpersonali, nelle forme della convivenza umana e negli stili di vita. In tutto ciò – nelle tensioni cui è sottoposto il diritto e nei mutamenti della soggettività personale – nulla è semplice.
Ma proprio questo rende ancora più urgente affrontare controversie totalmente sconosciute sino a pochi anni fa. Proviamoci.
La rinuncia alla ‘genitorialità giuridica’ comporta anche, necessariamente, un`irreversibile rinuncia alla ‘genitorialità naturale’? La corte costituzionale, con la sentenza 278 del 2013, lo ha escluso, dichiarando tra l`altro illegittima la disciplina vigente sull`anonimato materno, nella parte in cui non consente al figlio che non sia stato riconosciuto dalla madre, di chiederle – attraverso una procedura giurisdizionale che garantisca la massima riservatezza – se non intenda revocare la sua scelta. La sentenza si riferisce in particolare proprio al caso della donna che, al momento del parto, abbia dichiarato di non voler essere nominata, scelta che finisce per divenire irreversibile, come fosse un vincolo obbligatorio che espropria non solo la donna del diritto di tornare indietro, ma anche lo stesso figlio della possibilità di conoscere la propria storia.
Invitando il legislatore a introdurre una disciplina che consenta al figlio di interpellare la madre per la conferma o la revoca della scelta fatta, la Corte delinea un più generale bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e all`oblio del genitore che non voglia riconoscere il proprio figlio e, per converso, il diritto di questi alla ricerca della propria origine. Diritto che la Consulta stessa e la Corte europea dei diritti umani hanno qualificato come fondamentale, in quanto componente dell`identità personale. In particolare, la Corte di Strasburgo – nella sentenza Godelli c. Italia del 2012 – ha ricondotto espressamente alla tutela accordata dalla Convenzione europea al diritto alla vita privata e familiare, anche la possibilità di «disporre dei dettagli sulla propria identità di essere umano» e l`interesse vitale, protetto dalla Convenzione, a ottenere informazioni necessarie alla scoperta della verità concernente un aspetto importante della propria identità personale, quale in particolare l`identità dei genitori. Che non sarà, certo, tutta la storia di ciascuno, ma può comunque rappresentare, seppure parzialmente, le sue radici.
Quello della possibile coesistenza tra genitorialità elettiva e genitorialità biologica e del diritto del figlio a non rinunciare all`una né all`altra, nei casi in cui esse non coincidano, è tema del quale il legislatore dovrebbe occuparsi, superando quell` «insoddisfacente silenzio» che il presidente della repubblica ha ravvisato rispetto al tema non solo della bioetica ma, più in generale, dei diritti civili. E dovrebbe farlo con urgenza, dopo che importanti pronunce della Consulta (la 278 citata, ma anche la 162 del 2014, che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa) hanno dimostrato come, anche quando non coincidenti, genitorialità elettiva (o sociale o giuridica) e genitorialità biologica (o genetica) non siano necessariamente incompatibili ma possano, con saggezza ed attenzione a tutti i diritti coinvolti, essere armonizzate. Rispetto ai casi (dal mancato riconoscimento del figlio, all`adozione, all`eterologa) in cui il genitore biologico decida di sottrarsi al suo ruolo sociale, si dovrebbe dunque sempre contemperare il diritto all`anonimato di questi (nell`interesse suo ma anche dei genitori ‘sociali’) e il diritto del figlio non solo ad accedere ai dati sanitari rilevanti, in caso di necessità, ma anche a conoscere l`identità di chi, almeno in parte, ne ha reso possibile la nascita. E, a certe condizioni almeno, quest`ultimo diritto – proprio perché fondativo dell`identità personale – dovrebbe poter essere esercitato senza giudizi o vincoli esterni. Anche solo nel caso in cui il figlio ponga la dolorosa ma, in certi casi, necessaria domanda pur mediata e protetta – al proprio genitore, chiedendogli di tornare indietro e scoprire la propria identità.
Consapevole della necessità, indifferibile per la politica, di disciplinare questi aspetti, ho presentato un disegno di legge – elaborato insieme agli avvocati Laura Logli e Federica Resta – che, oltre a estendere ai singoli la possibilità di adozione ben oltre i limitati casi oggi previsti, delinea una procedura per consentire al figlio maggiorenne, non riconosciuto da uno dei genitori o da entrambi, di apprendere le proprie origini. Una soluzione di questo tipo potrebbe valere, dunque, anche per tutti quei casi in cui la genitorialità sociale non coincide con quella biologica. Diritto a conoscere le proprie origini; diritto a crescere con chi sia genitore per scelta e non (solo) per legame di sangue: non si tratta di esigenze incompatibili, ma spetta alla legge tracciare il punto di equilibrio.
Ma proprio questo rende ancora più urgente affrontare controversie totalmente sconosciute sino a pochi anni fa. Proviamoci.
La rinuncia alla ‘genitorialità giuridica’ comporta anche, necessariamente, un`irreversibile rinuncia alla ‘genitorialità naturale’? La corte costituzionale, con la sentenza 278 del 2013, lo ha escluso, dichiarando tra l`altro illegittima la disciplina vigente sull`anonimato materno, nella parte in cui non consente al figlio che non sia stato riconosciuto dalla madre, di chiederle – attraverso una procedura giurisdizionale che garantisca la massima riservatezza – se non intenda revocare la sua scelta. La sentenza si riferisce in particolare proprio al caso della donna che, al momento del parto, abbia dichiarato di non voler essere nominata, scelta che finisce per divenire irreversibile, come fosse un vincolo obbligatorio che espropria non solo la donna del diritto di tornare indietro, ma anche lo stesso figlio della possibilità di conoscere la propria storia.
Invitando il legislatore a introdurre una disciplina che consenta al figlio di interpellare la madre per la conferma o la revoca della scelta fatta, la Corte delinea un più generale bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e all`oblio del genitore che non voglia riconoscere il proprio figlio e, per converso, il diritto di questi alla ricerca della propria origine. Diritto che la Consulta stessa e la Corte europea dei diritti umani hanno qualificato come fondamentale, in quanto componente dell`identità personale. In particolare, la Corte di Strasburgo – nella sentenza Godelli c. Italia del 2012 – ha ricondotto espressamente alla tutela accordata dalla Convenzione europea al diritto alla vita privata e familiare, anche la possibilità di «disporre dei dettagli sulla propria identità di essere umano» e l`interesse vitale, protetto dalla Convenzione, a ottenere informazioni necessarie alla scoperta della verità concernente un aspetto importante della propria identità personale, quale in particolare l`identità dei genitori. Che non sarà, certo, tutta la storia di ciascuno, ma può comunque rappresentare, seppure parzialmente, le sue radici.
Quello della possibile coesistenza tra genitorialità elettiva e genitorialità biologica e del diritto del figlio a non rinunciare all`una né all`altra, nei casi in cui esse non coincidano, è tema del quale il legislatore dovrebbe occuparsi, superando quell` «insoddisfacente silenzio» che il presidente della repubblica ha ravvisato rispetto al tema non solo della bioetica ma, più in generale, dei diritti civili. E dovrebbe farlo con urgenza, dopo che importanti pronunce della Consulta (la 278 citata, ma anche la 162 del 2014, che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa) hanno dimostrato come, anche quando non coincidenti, genitorialità elettiva (o sociale o giuridica) e genitorialità biologica (o genetica) non siano necessariamente incompatibili ma possano, con saggezza ed attenzione a tutti i diritti coinvolti, essere armonizzate. Rispetto ai casi (dal mancato riconoscimento del figlio, all`adozione, all`eterologa) in cui il genitore biologico decida di sottrarsi al suo ruolo sociale, si dovrebbe dunque sempre contemperare il diritto all`anonimato di questi (nell`interesse suo ma anche dei genitori ‘sociali’) e il diritto del figlio non solo ad accedere ai dati sanitari rilevanti, in caso di necessità, ma anche a conoscere l`identità di chi, almeno in parte, ne ha reso possibile la nascita. E, a certe condizioni almeno, quest`ultimo diritto – proprio perché fondativo dell`identità personale – dovrebbe poter essere esercitato senza giudizi o vincoli esterni. Anche solo nel caso in cui il figlio ponga la dolorosa ma, in certi casi, necessaria domanda pur mediata e protetta – al proprio genitore, chiedendogli di tornare indietro e scoprire la propria identità.
Consapevole della necessità, indifferibile per la politica, di disciplinare questi aspetti, ho presentato un disegno di legge – elaborato insieme agli avvocati Laura Logli e Federica Resta – che, oltre a estendere ai singoli la possibilità di adozione ben oltre i limitati casi oggi previsti, delinea una procedura per consentire al figlio maggiorenne, non riconosciuto da uno dei genitori o da entrambi, di apprendere le proprie origini. Una soluzione di questo tipo potrebbe valere, dunque, anche per tutti quei casi in cui la genitorialità sociale non coincide con quella biologica. Diritto a conoscere le proprie origini; diritto a crescere con chi sia genitore per scelta e non (solo) per legame di sangue: non si tratta di esigenze incompatibili, ma spetta alla legge tracciare il punto di equilibrio.