I casi Aldrovandi e Magherini e il senso della mia proposta di legge sulla nonviolenza in divisa
Oddio, signora mia, qui si vogliono disarmare i poliziotti e consegnarli, inermi, a facinorosi armati fino ai denti. Tanto scandalo perché, insieme ad altri parlamentari,  ho presentato un disegno di legge che prevede, nei corsi di formazione per gli appartenenti alle forze di polizia, l`insegnamento delle tecniche della nonviolenza. Per ragioni misteriose, la formula ‘tecniche della nonviolenza’ è stata letta come una sorta di ‘resa’, se non di totale capitolazione di poliziotti e carabinieri di fronte alla minaccia della criminalità comune e politica. E perché mai? Le tecniche della nonviolenza sono una metodologia di lotta appunto nonviolenta, che non ricorre alle armi né all`aggressione fisica e che intende ridurre al minimo l`uso della forza, limitandola allo stretto necessario così da contenere i danni subiti dai diversi soggetti. E, infatti, la nonviolenza non è inerzia o passività: è piuttosto una metodica per disinnescare l`aggressività altrui senza incrementare la propria. Si tratta di provvedere a migliorare la qualità e l`efficacia della formazione professionale degli appartenenti alle forze dell`ordine, riducendo drasticamente i rischi di causare vittime tra i fermati (o tra i manifestanti) e conseguenze giudiziarie, anche gravi e gravissime, per gli operatori di polizia. Si tenga conto che l`apprendimento di tali tecniche è previsto da anni nei corsi di formazione delle polizie di molti stati democratici (a partire dagli Stati Uniti). Ma qui si impone una privatissima premessa. Precisato che non si tratta di un merito da rivendicare, bensì di un dovere da onorare, dico che i miei conti personali con la violenza politica li ho fatti da decenni. E li ho fatti in pubblico (già nel 1979, per dirne una, pubblicai con altri ‘La violenza e la politica’). Il fatto che ‘negli anni Settanta protestavo in piazza’ (come ha titolato in questi giorni un quotidiano) non mi sembra un buon argomento per dissuadermi dal prestare attenzione a quanto accade ancora oggi ‘in piazza’. D`altra parte, prima di andare a scuola dai Radicali nella seconda metà degli anni Settanta, capii l`importanza tattica e strategica della nonviolenza dalla traduzione italiana (pubblicata su Quaderni piacentini) del volantino del Free speech movement di Berkeley, guidato da Mario Savio, nell`autunno 1964. Qualche anno dopo, me ne convinsi ancor più leggendo le poche pagine di ‘Le tecniche della nonviolenza’ di Aldo Capitini, edito ne11967 dalla Libreria Feltrinelli. Quanto accadde negli anni immediatamente successivi smorzò quel mio interesse e lo piegò in tutt`altra direzione. Superato bene o male quel decennio, ho appreso infine dai Radicali le lezioni più importanti sul tema. Torniamo, dunque, al punto di partenza e consideriamo se una legge sull`insegnamento della nonviolenza sia opportuna o meno. Limitiamoci a esaminare le situazioni che possono determinarsi a seguito di un fermo di polizia e, in particolare, quelle che hanno portato alla morte di Federico Aldrovandi (Ferrara, 2005) e di Riccardo Magherini (Firenze, 2014). Per la prima sono stati condannati in via definitiva quattro poliziotti per eccesso colposo in omicidio colposo; per la seconda sono stati rinviati a giudizio quattro carabinieri anche in questo caso per omicidio colposo. Analizziamo le due vicende, assumendo che condannati e imputati non siano dei sadici (non lo penso affatto), bensì operatori di pubblica sicurezza incapaci di svolgere correttamente ed efficacemente il proprio compito. Non può che essere così dal momento che quattro agenti hanno mostrato di non essere in grado di mettere in condizioni di non nuocere un diciottenne disarmato e incensurato e un quarantenne altrettanto disarmato e altrettanto incensurato, se non provocandone il decesso. Quattro poliziotti a Ferrara e quattro carabinieri a Firenze sí sono rivelati tragicamente inadeguati a contenere la persona da fermare se non attraverso mezzi violenti, palesemente sproporzionati, non controllabili, che hanno prodotto la morte di due persone non armate e non pregiudicate; e hanno portato in tribunale otto appartenenti alle forze dell`ordine. Mi sono limitato a richiamare due episodi particolarmente noti, ma sono decine e decine le vicende in cui emerge l`impreparazione degli operatori dell`ordine pubblico. E spesso sono i sindacati di categoria a denunciare la carenza e l`arretratezza della formazione professionale, anche su questo delicatissimo piano. D`altra parte, consideriamo una situazione-tipo. La persona fermata viene rovesciata in qualche modo a terra, in posizione prona, il volto sulla pavimentazione, le braccia piegate dietro la schiena e i polsi ammanettati: e sul quel corpo disteso gravano con tutto il loro peso, al fine di immobilizzarlo, tre o quattro poliziotti o carabinieri. Da quella incontrollata ‘compressione toracica’ deriva, in un numero non irrilevante di casi, la morte per asfissia. Si tratta di una tecnica che i massimi responsabili dei due corpi di polizia, il prefetto Alessandro Pansa e il generale Leonardo Gallitelli, in più di un colloquio, mi hanno detto non essere regolamentata da un preciso protocollo. Dunque, un metodo diventato prassi, senza che ne venisse definita l`applicazione e indicati i limiti: e, soprattutto, senza che se ne segnalasse l`estrema pericolosità. Se non è già sufficiente questa drammatica casistica, cos`altro si aspetta per riconoscere la spaventosa debolezza, anche tecnicoprofessionale, della formazione degli operatori di polizia? Ma, persino a prescindere da questo, come ignorare che esiste una pluralità di metodi e discipline, atti e comportamenti, capaci di evitare il ricorso alla violenza nell`attività di controllo del territorio, ma anche di contenimento delle azioni di piazza? Se non avete tempo di studiare il buddismo o il taoismo potete farvi un`idea di cosa significhi il ri- corso intelligente ed equilibrato alla forza ‘senza il desiderio di nuocere’ (questo è il significato antico di nonviolenza), andando a vedere le vecchie serie americane in cui David Carradine interpreta il ruolo del monaco shaolin di Kwai Chang Caine. Irresistibile.

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