A Lampedusa non c’è un Cie, ma una struttura che dovrebbe offrire assistenza a chi aspetta di conoscere il proprio futuro
«Noi stiamo assistendo aun processo di ‘reificazione’, come avrebbe detto Carlo Marx. Quello che ha scandalizzato tutti è il filmato trasmesso dal Tg2, ma quello che ho visto nei Cie o in alcuni campi di raccolta di pomodori in Puglia o in Campania è la riduzione dei corpi a cose, di esseri umani a mezzi uomini. Un processo terribile che si sta verificando in quei luoghi come nelle carceri». Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato ha presentato un’interrogazione al ministro Alfano per sapere se fosse informato delle pratiche di disinfestazione al centro di accoglienza di Lampedusa.
Senatore Manconi, cosa chiede al ministro?
«Sarebbe il caso di valutare se, dal momento che questo tipo di infezione viene normalmente curata con appositi medicinali e con l’adozione di adeguate misure igieniche, le attuali modalità di ‘disinfestazione’ possano essere sostituite con pratiche mediche consolidate e rispettose della privacy e della dignità delle persone». Lei ha visitato quasi tutti i centri italiani. Sono così terribili come si dice?
«Ci sono una pluralità di centri che si presentano con nomi differenti che mutano nel tempo. Quello di cui parliamo non è il Cie, il luogo dove vengono trattenuti per l’identificazione, ma dovrebbe essere un centro di accoglienza, destinato ad offrire un’assistenza di primo livello in attesa di una diversa destinazione sul territorio. Quelli che sbarcano a Lampedusa sono, inmaggioranza, richiedenti asilo, e sono persone che quell’asilo o una qualche forma di protezione, in percentuale elevata, lo ottengono in base alla Costituzione italiana e alle convenzioni internazionali sottoscritte dal nostro Paese. Sono quindi persone che dovrebbero godere di ampia tutela e di assistenza adeguata perché la nostra legge riconosce loro protezione in quanto fuggitivi da guerre, conflitti tribali, persecuzioni politiche, religiose o sessuali. Non sono emigranti economici, sono profughi che vengono in prevalenza da Eritrea e Somalia, zone sconvolte dalla guerra e che rimandano alla storia meno nobile del nostro Paese».
Perché l’Italia non è in grado di garantire loro un’assistenza dignitosa?
«Questi centri vengono gestiti da enti che si aggiudicano bandi al ribasso, dove la spesa pro-capite pro-die arriva anche a 21 euro a persona. E questo, credo, spiega tutto».

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