Il senatore Luigi Manconi ha difeso le Ong dalla politica del governo perché “i diritti fondamentali della persona sono superiori, non possono essere trattenuti, esondano, travalicano Ì codici e gli ordinamenti giu­diziari”. Ritiene che “i diritti umani non sono una bandiera della retorica mondiale ma devono essere la base di un’azione politica” e difende l’uso corret­to della parola. La parola, dice, a cui tiene più della politica. Perché secondo il presidente della Commis­sione diritti umani del Senato il linguaggio è uno dei responsabili di quella scorrettezza politica che con­tribuisce a creare il clima illustrato nell’ultimo libro, scritto insieme con Federica Resta, avvocato e esperta di Diritto penale. Non sono razzista, ma (Feltrinelli) ha come sottotitolo: “La xenofobia degli italiani e gli imprenditori politici della paura”. Manconi sostiene di essere in posizione minoritaria dentro il Pd, ma non ¡solato. E comunque, dice, «tra sei mesi non sarò più parlamentare». Intanto, però, denuncia lo stop allo ius soli e la criminalizzazione delle Ong.
Senatore Manconi, in cosa consiste il passaggio tra xenofobia e razzismo?
La xenofobia è una categoria che fa riferimento ad un sentimento, ad un umore, a quella che in parole semplici si potrebbe chiamare ansia verso lo stra­niero. Quest’ansia è in qualche modo naturale ed e prevedibile e comprensibile. La xenofobia risente di molti fattori esterni e ¡n questo periodo risente della crisi economico-sociale. Questo fa si che l’an­sia cresca e che l’angoscia e l’inquietudine aumenti­no. Ma non siamo ancora nel campo del razzismo. Non arrivo a dire che “quella persona sconosciuta che mi fa paura è inferiore a me e che va elimina­ta fisicamente”. Prima che si verifichino queste due condizioni c’è un campo enorme di tempo, spazio e opportunità.
E allora cosa deve rare la politica per impedire che si arrivi al razzismo?
Deve intervenire per rallentare il passaggio e disinne­scare ì meccanismi si ostilità. Adesso le sembra che ciò avvenga?
Non tutto è perduto, anche se molto è compromesso. La cosa che fa impressione è che io risento adesso in scellerate trasmissioni televisive esperienze da me vis­sute a Milano quando nel 1990 come sociologo venivo chiamato a partecipare ad assemblee dei comitati di quartieri su conflitti tra i residenti e gli immigrati. Ma­gari per fuso dei cassonetti.
Ma oggi il problema non è l’uso del cassonetto.
No, è la stessa cosa di allora. Nel senso che la rappre­sentazione e la dinamica sono identiche. Il conflitto non è sui posti di lavoro ma sugli spazi, sui servizi, sui trasporti, sulle piazze. Con Laura Balbo 25 anni fa avevamo parlato di imprenditori politici della paura. C’era già tutto allora.
Perché la politica non ha fatto nulla?
La politica ha pensato di essere furba essendo oppor­tunista, ma la furbizia fatta da opportunismi è destinata a perdere anche quando pensava di vincere. La politica non si è fatta sguardo lungimirante. La vicenda dello ius soli è esemplare.
Ci spieghi il motivo.
La riforma della cittadinanza era il primo punto della campagna elettorale di Bersani. Dopo di che è stata abbandonata, messa da parte da persone che si presen­tavano come scaltre e che erano invece solo opportu­niste. E poi non si è fatto nulla per sostenerla sotto il profilo culturale delle idee. L’unica campagna l’han­no fatta i nemici dello ius soli.
L’opportunismo dipende dalle elezioni vicine?
No, visto che nel marzo 2013, le elezioni non cera­no. C’è una subcultura di sinistra che valuta tematiche quali l’immigrazione e la privazione della libertà deci­samente impopolari, non portano un voto e ne fanno perdere un po’, E in questo trovano un alibi imperme­abile e irriducibile alla propria codardia.


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