Che fine ha fatto il rispetto del diritto fondamentale alla tutela della riservatezza?
In oltre due decenni, Alessandra Mussolini si è impegnata pervicacemente al fine di rendersi antipatica e, spesso, assai sgradevole. Devo dire che con me ci è perfettamente riuscita. 
 E posso aggiungere che qualunque, non dico posizione, ma parola politica abbia mai pronunciato mi ha trovato sempre radicalmente contrario. E allora? Che cosa c`entra tutto questo? Perché mai una incondizionata ostilità politica e una robusta insofferenza personale dovrebbero impedirmi di provare per lei, in questo momento, una qualche solidarietà? Davanti, cioè, alla quotidiana e ossessiva curiosità rivolta a lei e ai suoi tre figli in occasione di una bruttissima vicenda giudiziaria. Premessa ineludibile è che, senza dubbio, lo sfruttamento di adolescenti costituisce una notizia di interesse pubblico. Ed è altrettanto indubbio che si debba informare delle indagini in atto e del coinvolgimento di uomini cui sono affidati incarichi di responsabilità, nel pubblico e nel privato. Ma il dovere di informazione del giornalista implica anche il dovere di pubblicare dettagli della vita privata degli indagati e dei loro familiari siano essi personaggi pubblici o meno – anche quando non rilevanti ai fini delle indagini?
È un interrogativo che non possiamo non porci proprio in questi giorni, leggendo non solo i nomi degli indagati nell`ambito del procedimento romano per prostituzione minorile, ma anche dettagli della loro sfera privata e familiare, rendendone riconoscibili persino i figli minori. Non si può ignorare, dunque, la lesione della dignità subita da quei bambini e ragazzi, pur senza avere altra colpa che quella di essere figli di un indagato per un reato gravissimo, ma che deve ricadere solo ed esclusivamente su chi l`ha commesso. (A ciò si aggiunga che quel reato deve essere ancora accertato). Che fine ha fatto il rispetto del diritto fondamentale alla tutela della riservatezza?
D`altra parte, una simile violazione della sfera privata potrebbe giustificarsi esclusivamente, e con la massima cautela, per la moglie dell`indagato, ma si deve ricordare che quest`ultima, pur essendo un personaggio pubblico, non assume alcun rilievo nella vicenda giudiziaria. Lo ha ricordato proprio in questi giorni il Garante per la privacy, che a proposito dell`«accanimento informativo» che connota l`indagine romana ha indirizzato ai media una richiesta, finora non ascoltata, di rispetto di un diritto fondamentale, quale appunto quello alla tutela della riservatezza della vita privata. Riservatezza che, pur con diverse gradazioni a seconda della notorietà della persona e del suo coinvolgimento in indagini giudiziarie, deve comunque essere riconosciuta a ciascuno.
Fino a che punto, pertanto, può spingersi il diritto/dovere di cronaca, senza violare la dignità della persona e dei suoi familiari più stretti? Se quello tra libertà di stampa e privacy è un bilanciamento che il giornalista è tenuto a realizzare ogni giorno rispetto a qualsiasi notizia, nel caso della cronaca giudiziaria e, in particolare, rispetto a indagini così delicate come quelle per reati sessuali, l`equilibrio tra questi due diritti fondamentali è tanto difficile da tracciare quanto essenziale per un maturo sviluppo della vita democratica. E se più evidente è il dovere di proteggere i dati personali delle vittime di reati (soprattutto se minori e soprattutto se si tratta di delitti sessuali), meno scontata può apparire l`esigenza di garantire un nucleo minimo di riservatezza anche agli indagati e ai loro familiari, persino quando siano personaggi pubblici. In questi casi, infatti, il confine tra doverosa informazione su fatti di interesse pubblico e sensazionalismo e tra cronaca e voyeurismo è quantomai labile.
Di qui la responsabilità, che spetta a ciascun giornalista, di compiere una selezione, ancora più attenta e rigorosa, dei dati da diffondere, nella consapevolezza che non tutto quello che è di interesse del pubblico debba ritenersi, per questa sola ragione, di pubblico interesse. Se è infatti vero che democrazia è governo della cosa pubblica in pubblico come affermava Norberto Bobbio – è altrettanto vero che non ogni aspetto della vita di un personaggio pubblico e di chi gli è vicino può essere, per ciò solo, di «pubblico dominio» (lo ha ben chiarito la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell`uomo e lo definisce puntualmente l`art. 6, c.2, del Codice deontologico dei giornalisti). Tanto più in un contesto, quale quello attuale, in cui la rete ha accresciuto enormemente la forza e l`efficacia dell`informazione, ma anche la sua potenziale capacità di ledere dignità e interessi e, in sostanza, di «fare male».

Ne Parlano