Per capirci e per dirla in estrema e ruvida sintesi. Le mie posizioni o, se si vuole, il mio personale programma politico si collocano, nella toponomastica convenzionale, alla «estrema sinistra». Praticamente su tutto: sui diritti e le garanzie, così come sulla rappresentanza sindacale e sull`immigrazione, sul rapporto tra Stato e cittadino e sulle scelte economiche. Detta ancor più grossolanamente: le mie posizioni sono, sempre nella consunta mappatura politica, «più a sinistra» di quelle, che so, di Pippo Civati (e cito proprio lui perché è un amico evidente che non si tratta di una vanteria (di che ci sarebbe da menar vanto, poi? È una semplice scelta, mica un talento o un merito). Né si tratta, tanto meno, di una competizione agonistica tra me e qualcun altro: ma solo di una descrizione la più possibile oggettiva di opzioni peraltro verificabili e «misurabili».
Se dunque ricorro a questo un po` puerile esercizio di «tostaggine», è solo per dichiarare immediatamente la mia collocazione politica. E per argomentare l`apparente contraddittorietà della mia risoluta scelta «di governo». In questi giorni ho avvertito come davvero insopportabile la ricorrente minaccia, da parte di settori del Pd, di non votare la fiducia al governo Renzi. Una retorica tonitruante e declamatoria: ma se tutto ciò non produce, alla resa dei conti, un voto – un solo voto – di sfiducia e nemmeno un voto – un solo voto – di astensione, questa vociferazione un po` loffia si rivelerà mero chiacchiericcio. E proprio questo è il punto.
C`è una Grande Bugia che grava sul discorso pubblico e che occulta la semplice verità dei fatti: non si può andare al voto in queste condizioni e con questa legge elettorale. Lo sanno benissimo, e non possono e non vogliono andarci i democratici (nessuno di loro), né Sel, né 5 Stelle. Figuriamoci gli altri. E dunque, se non si vota la fiducia, non è che si aprano nuovi scenari, si formino maggioranze più coese, si promuovano più avanzati programmi di emancipazione sociale. Non succederà nulla di questo. Semplicemente altri si dovranno e già si fanno carico di votare la fiducia, evitare le elezioni anticipate, governare una situazione terribilmente incerta e precaria. O si fa così o c`è lo sfascio. Forse che si può votare con questa legge, col rischio serissimo di trovarsi esattamente nella situazione precedente? O qualcuno pensa davvero che si possa costituire una maggioranza alternativa con quel partito autoritario e nullista che è 5 Stelle?
Non lo ritiene, credo, alcuno. E tuttavia, un certo numero di parlamentari sembra arrovellarsi tormentosamente intorno al seguente dilemma: all`interno del sistema dei media porta più consensi urlare per due settimane la propria ferma intenzione di sfiduciare il governo Renzi o, invece, arreca più disdoro il fatto di non farlo dopo averlo fieramente annunciato? Personalmente preferisco un altro approccio e un`altra scelta. E sono d`accordo con Mario Tronti, per la prima volta da quando – era il 1966 ed ero ancora piccino – pubblicò «Operai e Capitale». Il senatore Tronti, nella riunione del gruppo democratico, ha detto: «Voto la sfiducia qui, nel confronto con i colleghi, e ovviamente voto la fiducia in aula» (o, come ha detto Walter Tocci in un bell`intervento, «Voto la fiducia al governo perché se dovesse fallire aumenterebbe la sfiducia di un paese già molto provato. Non c`è bisogno però che proprio tutti si aggiungano al coro»). Giusto. Poi, votata la fiducia, ciascuno condurrà la sua battaglia, farà le sue vertenze, perseguirà i suoi obiettivi, anche i più radicali. Ma nella massima chiarezza.

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