Ricadute di un’antropologia perfino cattolica sul diritto (che non nuoce) alle adozioni gay
Afine agosto, partecipo a Rimini, all`interno del Meeting di Comunione e liberazione, a un dibattito di, per così dire, ‘teologia sociale’. 
Ne discutono tre filosofi di ispirazione cattolica (Eugenio Mazzarella, Adriano Fabris e Costantino Esposito) e un sociologo agnostico (io): ma, se l`autodefinizione non apparisse futile, preferirei dirmi un sociologo poco credente. In quel confronto, davanti a centinaia di giovani e meno giovani, che ruotava intorno ai temi del nichilismo e dell`individualismo come tentazione dell`uomo a ‘farsi centro di se stesso’, sono echeggiate due affermazioni particolarmente squillanti. E impreviste. La prima: se pure il relativismo fosse il male supremo, la risposta non può essere una fede assolutista. La seconda: esiste, certo, il rischio di una ‘dittatura del desiderio’, ma ‘ricordiamo che l`uomo è un essere desiderante’. Riassumo così, forse un po` grossolanamente, le nette parole di Costantino Esposito. Mi torna in mente tutto ciò mentre rifletto sulla sentenza del Tribunale di Roma (probabilmente tutt`altro che apprezzata dallo stesso Esposito), che ha riconosciuto la possibilità dell`adozione da parte di una donna della figlia della propria convivente. E infatti, se vi sono mille ragioni per criticare quella sentenza (e, penso io, mille per approvarla), ciò che non va fatto è presto detto. Non si può, in alcun modo, condannare pregiudizialmente il ‘desiderio’ di quelle due donne in quanto quel desiderio trova la sua fonte esattamente nell`essenza profonda e costitutiva della persona umana. Oggi, sullo sfondo, emerge un altro dilemma cruciale: decidere se e come avvalersi delle possibilità aperte dal progresso tecnico-scientifico, cogliendone gli effetti prodotti nelle relazioni sociali. Ed è forse proprio questa la posta in gioco: il diritto a godere dei benefici prodotti dagli enormi passi avanti compiuti dalle biotecnologie. Quel diritto se non alla felicità quantomeno alla liberazione da sofferenze inutili ed evitabili può essere limitato solo per (e nella misura strettamente necessaria a) tutelare diritti di pari rilevanza. Quelli che altrimenti ne riceverebbero pregiudizio. A patto, certo, di individuare correttamente quali siano (e che valore costituzionale abbiano) questi diritti e di non confondere quel che, per natura, tradizione (o, peggio, pregiudizio) accade con ciò che giuridicamente deve accadere. E a patto di non chiamare ‘dovere’ il costume sociale o le convinzioni prevalenti. Se è vero che non ogni desiderio, di per sé, deve essere riconosciuto come diritto, è altrettanto vero che esso – qualora non sia lesivo di altri diritti – non può essere immotivatamente vietato. Così, secondo la Consulta, la mancata coincidenza tra genitorialità sociale e genitorialità biologica non deve precludere in quanto tale quel diritto (esso sì fondamentale) a chi non possa avere figli. Perché, appunto, dall`esercizio di tale ‘scelta incoercibile’ non deriverebbe al figlio un pregiudizio tale da giustificarne il divieto, non essendo soltanto i legami di sangue gli unici meritevoli di tutela. Così, rispetto all`adozione del figlio del partner, ove tra i due si sia creato un legame importante e, dunque, il suo riconoscimento giuridico nell`interesse del bambino, non dovrebbe costituire ostacolo la natura omosessuale della relazione tra i due adulti. L`unico parametro giuridicamente rilevante in questo caso (l`interesse del minore e l`adeguatezza dell`adulto a prendersene cura) dovrebbe identificarsi nella relazione instaurata tra adottante e bambino e nella serenità del contesto in cui tale relazione sia vissuta, e non per la sua conformità al modello (eterosessuale) prevalente. Per questo è importante la decisione del Tribunale di Roma. E, infatti, non sono il genere né il numero a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per il bambino, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e la responsabilità che ne deriva. Il benessere del bambino (cui l`adozione deve tendere) non è legato alla forma del gruppo familiare in cui è inserito, ma alla qualità delle relazioni che vi si sviluppano. Il Tribunale di Roma, come già la Cassazione, le Corti costituzionali tedesca e spagnola e la Cedu, ha affermato la neutralità dell`orientamento sessuale ai fini dell`adozione; e ha dichiarato di non potere aderire al ‘pregiudizio’ sulla dannosità, per il bambino, della crescita in un nucleo familiare atipico quale quello omosessuale. Ed è proprio questo ‘pregiudizio’ che, discriminando i figli di coppie omosessuali, negherebbe loro il diritto al riconoscimento giuridico del legame con il loro genitore effettivo. Per non lasciare il diritto così indifferente rispetto a tali relazioni, ho presentato due disegni di legge, elaborati insieme agli avvocati Laura Logli e Federica Resta, dove si propone di estendere i casi di adozione da parte del singolo. E di riconoscere giuridicamente il diritto del minore al rapporto con il genitore non biologico. Tema, questo, che non si esaurisce nell`ambito delle coppie omosessuali ma investe, oggi, le varie ‘forme dello stare insieme’ non fondate sulla perfetta coincidenza tra rapporto coniugale e filiazione. Continuare a ignorarle vorrebbe dire affidarsi a un pregiudizio e non al primato del diritto. Come si vede, che piaccia o no, in quella sentenza del Tribunale di Roma, c`è della saggezza.

Ne Parlano