Luigi Manconi, senatore democratico, presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani.
Senatore, la morte di Davide Bifolco, secondo lei, è un altro caso Cucchi?
«Le due vicende sono assai diverse, anzi incomparabili. Oggi ho incontrato, con il senatore De Cristofaro, l’avvocato Anselmo e ho avuto modo di essere informato delle legittime e sacrosante indagini difensive da lui condotte».
E cosa emerge?
«Da questo materiale ovviamente parziale emerge una versione della vicenda diversa da quella istituzionale. Tutto qui. Le indagini dovranno accertare quali di queste due risponda alla realtà. Ieri ho sollecitato la Procura a far sì che prima della autopsia venissero condotte altre rilevazioni, per esempio la Tac, che sono utilissime secondo tutti i protocolli internazionali e le moderne tecniche investigative. Richiesta accolta e dunque su questo devo dire che i primi passi mi sembrano positivi. Però devo aggiungere un’altra cosa».
Cioè?
«Che trovo segno di leggerezza avere incaricato di alcuni atti di indagine, cioè quelli immediatamente successivi, i carabinieri. Ovviamente la loro professionalità è al di sopra di ogni sospetto, l’onestà degli stessi non è in discussione, e tuttavia un ragionevolissimo buon senso e una saggia cautela avrebbero dovuto suggerire che a indagare non fossero i commilitoni dei carabinieri protagonisti di questa disgrazia».
Ma pensa che siano stati commessi errori quella tragica notte?
«Guardi ho avuto modo nei mesi scorsi di incontrare il comandante generale dell’Arma dei carabinieri e ho modo di parlare frequentemente con il Capo della polizia, in questi incontri emerge che esiste un grandissimo problema, rappresentato dalle regole di ingaggio. Ovvero da quel sistema di disposizioni che dovrebbe amministrare gli interventi delle forze di polizia».
Si spiega meglio?
«Ignoro la vicenda Bifolco, ma le indico una serie di casi. La vicenda Magherini a Firenze, Fermili a Milano, Rasman a Trieste, Aldrovandi a Ferrara, Bohli Kayes a Sanremo: è emersa una metodica del fermo che si è rilevata mortale, un fermato viene bloccato a terra, con i polsi ammanettati dietro la schiena e col viso sull’asfalto. Per renderlo inoffensivo tre o quattro uomini gravano sulla schiena determinando quello che io chiamo compressione toracica che può portare all’asfissia o all’infarto. Questo metodo non ha nulla a che fare con il caso Bifolco, ma rileva una grave carenza di tecniche di controllo delle persone».
E nel caso Bifolco, invece?
«In questo caso possiamo porci solo una domanda: è razionalmente motivato oltre che efficace, qualora venisse confermata l’assenza totale di qualunque arma, che un carabiniere affronti due persone con la pistola, il colpo in canna e senza sicura?».
Quindi?
«Esiste certamente un pregiudizio. Ma, lo dico da sociologo, spesso i pregiudizi trovano un qualche magari esile e fallace fondamento di realtà. Il punto è che l’analisi sociale e la riflessione culturale e morale, vanno sì sviluppate, ma distinguendo il piano delle responsabilità profonde e quello delle colpe della politica, dalla concreta materialità di quanto è accaduto. Ovvero la dinamica dei fatti, l’eventuale responsabilità dei diversi attori, la scena del crimine e la domanda ineludibile: è pensabile che un quasi diciassettenne trovi la morte in quelle condizioni? È stato fatto tutto il possibile affinché, pur in un quartiere a rischio, in una situazione di tensione, quello che era al massimo un illecito venisse affrontato senza mettere a repentaglio una vita?».
Non crede che in condizioni di estrema tensione, qualcuno ha parlato di guerra, i rischi siano superiori?
«Si tenga conto che il motorino con tre persone sopra non ha forzato un posto di blocco».
Non s’è fermato all’alt.
«Appunto. Nel primo caso c’è un reato, nel secondo un illecito amministrativo. Detto tutto ciò ovviamente penso che oltre alla vittima, Davide, ci sia una seconda vittima, il carabiniere che lo ha ammazzato, la cui vita è comunque rovinata».
Scusi se le chiedo di alzare il tono di voce, ma le sente le sirene?
«Ma cosa sta succedendo a Napoli?».
Ci sono più manifestazioni in corso. Anche i disoccupati hanno esposto striscioni contro «lo Stato omicida».
«Questo mi preoccupa. È una spirale che rischia di distruggere ulteriormente quel tessuto sociale già tanto lacerato. Sarebbe terribile consentire che una storia tanto crudele diventi un’accusa generalizzata contro lo Stato e i suoi apparati e i suoi uomini. Oltre a essere una menzogna, è un atto totalmente irresponsabile che porta alla catastrofe collettiva. Non si salva nessuno. Se qualcuno pensa di trarne un tornaconto politico, saremo tutti sconfitti».
Senatore, la morte di Davide Bifolco, secondo lei, è un altro caso Cucchi?
«Le due vicende sono assai diverse, anzi incomparabili. Oggi ho incontrato, con il senatore De Cristofaro, l’avvocato Anselmo e ho avuto modo di essere informato delle legittime e sacrosante indagini difensive da lui condotte».
E cosa emerge?
«Da questo materiale ovviamente parziale emerge una versione della vicenda diversa da quella istituzionale. Tutto qui. Le indagini dovranno accertare quali di queste due risponda alla realtà. Ieri ho sollecitato la Procura a far sì che prima della autopsia venissero condotte altre rilevazioni, per esempio la Tac, che sono utilissime secondo tutti i protocolli internazionali e le moderne tecniche investigative. Richiesta accolta e dunque su questo devo dire che i primi passi mi sembrano positivi. Però devo aggiungere un’altra cosa».
Cioè?
«Che trovo segno di leggerezza avere incaricato di alcuni atti di indagine, cioè quelli immediatamente successivi, i carabinieri. Ovviamente la loro professionalità è al di sopra di ogni sospetto, l’onestà degli stessi non è in discussione, e tuttavia un ragionevolissimo buon senso e una saggia cautela avrebbero dovuto suggerire che a indagare non fossero i commilitoni dei carabinieri protagonisti di questa disgrazia».
Ma pensa che siano stati commessi errori quella tragica notte?
«Guardi ho avuto modo nei mesi scorsi di incontrare il comandante generale dell’Arma dei carabinieri e ho modo di parlare frequentemente con il Capo della polizia, in questi incontri emerge che esiste un grandissimo problema, rappresentato dalle regole di ingaggio. Ovvero da quel sistema di disposizioni che dovrebbe amministrare gli interventi delle forze di polizia».
Si spiega meglio?
«Ignoro la vicenda Bifolco, ma le indico una serie di casi. La vicenda Magherini a Firenze, Fermili a Milano, Rasman a Trieste, Aldrovandi a Ferrara, Bohli Kayes a Sanremo: è emersa una metodica del fermo che si è rilevata mortale, un fermato viene bloccato a terra, con i polsi ammanettati dietro la schiena e col viso sull’asfalto. Per renderlo inoffensivo tre o quattro uomini gravano sulla schiena determinando quello che io chiamo compressione toracica che può portare all’asfissia o all’infarto. Questo metodo non ha nulla a che fare con il caso Bifolco, ma rileva una grave carenza di tecniche di controllo delle persone».
E nel caso Bifolco, invece?
«In questo caso possiamo porci solo una domanda: è razionalmente motivato oltre che efficace, qualora venisse confermata l’assenza totale di qualunque arma, che un carabiniere affronti due persone con la pistola, il colpo in canna e senza sicura?».
Quindi?
«Esiste certamente un pregiudizio. Ma, lo dico da sociologo, spesso i pregiudizi trovano un qualche magari esile e fallace fondamento di realtà. Il punto è che l’analisi sociale e la riflessione culturale e morale, vanno sì sviluppate, ma distinguendo il piano delle responsabilità profonde e quello delle colpe della politica, dalla concreta materialità di quanto è accaduto. Ovvero la dinamica dei fatti, l’eventuale responsabilità dei diversi attori, la scena del crimine e la domanda ineludibile: è pensabile che un quasi diciassettenne trovi la morte in quelle condizioni? È stato fatto tutto il possibile affinché, pur in un quartiere a rischio, in una situazione di tensione, quello che era al massimo un illecito venisse affrontato senza mettere a repentaglio una vita?».
Non crede che in condizioni di estrema tensione, qualcuno ha parlato di guerra, i rischi siano superiori?
«Si tenga conto che il motorino con tre persone sopra non ha forzato un posto di blocco».
Non s’è fermato all’alt.
«Appunto. Nel primo caso c’è un reato, nel secondo un illecito amministrativo. Detto tutto ciò ovviamente penso che oltre alla vittima, Davide, ci sia una seconda vittima, il carabiniere che lo ha ammazzato, la cui vita è comunque rovinata».
Scusi se le chiedo di alzare il tono di voce, ma le sente le sirene?
«Ma cosa sta succedendo a Napoli?».
Ci sono più manifestazioni in corso. Anche i disoccupati hanno esposto striscioni contro «lo Stato omicida».
«Questo mi preoccupa. È una spirale che rischia di distruggere ulteriormente quel tessuto sociale già tanto lacerato. Sarebbe terribile consentire che una storia tanto crudele diventi un’accusa generalizzata contro lo Stato e i suoi apparati e i suoi uomini. Oltre a essere una menzogna, è un atto totalmente irresponsabile che porta alla catastrofe collettiva. Non si salva nessuno. Se qualcuno pensa di trarne un tornaconto politico, saremo tutti sconfitti».