La regolamentazione delle lobby non è un problema nuovo in Italia. Ecco come risolverlo
Le parole, contrariamente a quanto si crede, sono tra gli oggetti più mobili, vivi e vitali. Si inabissano e riemergono, mutano sembianze e si  trasformano radicalmente. Si perpetuano negli anfratti della vita sociale e del discorso domestico e del linguaggio pubblico. Talvolta perdono senso e ne acquistano uno nuovo. Possono essere cangianti e inafferrabili. Prendete la parola lobby: è una delle più misconosciute, strapazzate e stiracchiate, sottoposte a processi di denigrazione e stigmatizzazione e poi, magari, destinate a tornare in auge, dopo una spericolata operazione mimetica o una mirabolante trasfigurazione. A sinistra, lobby è ‘parola sporca’, ma lo è – a ben vedere – anche a destra, per non parlare della destra estrema. Chi, come me, è rimasto un convintissimo sostenitore del politicamente correttissimo, ha avuto sempre curiosità e attrazione per quel termine e per ciò che significa. Al punto che, in un`altra vita, quando ero ai primi passi della ricerca sociologica, e Pietro Ichino – nessuno lo ricorda – era parlamentare del Pci (19`79-`83), discorremmo a lungo di un suo disegno di legge per la regolamentazione dei gruppi di interesse. Questo per dire, se ve ne fosse bisogno, che di tutto si tratta, tranne che di una moda recente. E, tuttavia, la prima concreta apertura si deve attribuire alla legge Severino (2012). Uno dei suoi aspetti di maggiore efficacia consiste nell`aver affrontato il tema della corruzione nella complessità e varietà delle sue manifestazioni, non riducendolo a questione di mero ordine pubblico. Importante è stato quindi aver previsto una strategia integrata di contrasto alla corruzione, che all`indispensabile momento repressivo ha affiancato misure di prevenzione della connivenza, dei clientelismi e dell`opacità dei processi decisionali. Un ruolo centrale spetta, in questo, alla nuova disciplina della trasparenza, che erodendo la sfera di tradizionale segretezza dell`agire amministrativo, ha valorizzato quell`aspetto centrale della democrazia, già da Bobbio individuato nel ‘governo della cosa pubblica in pubblico’. Ciò che, però e paradossalmente, è rimasto nell`ombra è la disciplina delle relazioni pubbliche e, in particolare, della rappresentanza di interessi, regolamentata in quasi tutti i paesi proprio al fine di rendere trasparente il momento più importante del processo decisionale. Quello, cioè, della scelta degli interessi meritevoli di tutela, nonché delle forme e del grado di protezione da accordare a ciascuno di essi nel bilanciamento con contrapposte esigenze.
Una disciplina del genere non è soltanto attesa da tempo: i primi progetti di legge in materia risalgono addirittura al 19`76. Essa è oggi quantomai necessaria a seguito dell`introduzione (con la stessa legge Severino) del nuovo reato di traffico di influenze. Questa fattispecie, per la formulazione particolarmente ampia, rischia di attrarre nella sua sfera di applicazione anche attività – in linea generale lecite – quali, appunto, la rappresentanza d`interessi. Una disciplina di questo fenomeno consentirebbe, quindi, di distinguere con nettezza le attività di intermediazione consentite (ed espressive di quella partecipazione democratica promossa dalla stessa Costituzione a fondamento della vita pubblica) da quelle illecite, perché basate su co-interessenze tali da alterare l`imparzialità e l`efficienza dell`azione amministrativa. Una chiara regolamentazione di queste attività servirebbe inoltre a porre il nostro paese su un piano di parità con le altre nazioni che hanno già da anni disciplinato la materia, evitando il rischio di imputazioni per corruzione internazionale nel caso di remunerazione d`intermediari per attività oggettivamente lecite.
Di questa necessità sembravano consapevoli tanto il governo quanto le Camere quando, nella scorsa legislatura, all`indomani dell`approvazione della legge Severino, furono accolti due ordini del giorno volti, appunto, a introdurre una puntuale regolamentazione dell`attività di lobbying. Regolamentazione che l`attuale Guardasigilli, Andrea Orlando, ha recentemente annunciato di voler introdurre, quale necessario complemento della disciplina anticorruzione vigente.
 L`albo e il codice deontologico
Come ho ritenuto opportuno proporre in un mio disegno di legge, sarebbe necessario, in particolare, prevedere l`obbligatoria registrazione dei rappresentanti di interessi presso un apposito ‘albo’; e la presentazione di un dettagliato rapporto sull`attività svolta quale condizione per poter fruire di determinate agevolazioni e del diritto al coinvolgimento nella fase preparatoria dei provvedimenti normativi o amministrativi. Simmetricamente, si dovrebbero prevedere analoghi obblighi (e sanzioni) per i ‘decisori pubblici’, soprattutto di astensione dal ricevere doni non modici dai rappresentanti d`interessi. Altrettanto importante sarebbe l`introduzione, all`esito di una specifica consultazione pubblica, di un codice deontologico unico per i rappresentanti di interessi, capace (forse anche più della norma penale) di favorire la rigorosa adozione di quell`etica professionale indispensabile per un contrasto efficace della corruzione e del malaffare. Certo, poi, c`è il peccato originale e le sue fatali conseguenze.

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