Avete presente il famoso e famigerato «decreto svuotacarceri»? Quello che «adesso li liberano tutti» e quello che «escono fuori assassini e stupratori»? Bene, dal carcere di Poggioreale, su 483 detenuti che in base alla norma voluta dal mini- stro Anna Maria Cancellieri nel dicembre scorso chiedevano di usufruire della liberazione anticipata, sono usciti appena 77. Dunque, in quel carcere abnorme che si sarebbe dovuto «svuotare» (a dar retta agli allarmi più irresponsabili), oggi rimangono 2.102 reclusi.
Ora, è possibile che ciò si debba anche ai ritardi accumulati dalla magistratura di sorveglianza, dotata di pochi uomini e di scarsi mezzi, nel rispondere alle richieste, ma un dato risulta certo. Ovvero che tutte le misure finora adottate per ridurre il sovraffollamento e rendere più umane le condizioni di vita all`interno del nostro sistema penitenziario si rivelano drammaticamente inadeguate. Ne ho un`inequivocabile conferma, alcuni giorni fa, mentre visito il carcere di Poggioreale, insieme al senatore Peppe De Cristofaro.
Si è parlato di questa casa circondariale, e se ne è parlato in maniera molto critica, nelle ultime settimane, a seguito della pubblicazione del rapporto della Commissione per le libertà civili del Parlamento europeo, dopo la visita effettuata nel marzo scorso. In particolare, il rapporto parla delle lunghe file di familiari, in attesa di accedere ai colloqui, in strada sin dalle prime ore del mattino; di cameroni con 6-12 persone, in cui si trascorrono 22 ore su 24, senza aria né luce e senza spazi comuni per «fare socialità»; della presenza di 800 definitivi su 2.400 detenuti in un istituto destinato a chi è in attesa di giudizio; e, infine, di un certo numero di detenuti che sarebbero stati percossi da poliziotti penitenziari (56 le denunce sulle quali indagherebbe la magistratura). Dopo la nostra visita della settimana scorsa mi sento di dire che quanto denunciato da quel rapporto del Parlamento europeo è, per certi versi, indiscutibilmente vero; per certi altri, solo parzialmente vero o ancora da verificare (le violenze ai danni dei detenuti). In ogni caso, il dato di partenza è pesante e ruvido come un macigno: la capienza «tollerata» di Poggioreale è di1.743 unità, ma quella regolamentare è appena di 1.400. Dunque, il sovraffollamento è rappresentato da una popolazione eccedente che oscilla tra le 400 e le 700 persone. Fatale che questo terribile dato demografico faccia precipitare tutti gli standard di convivenza costretta, la qualità di tutti i servizi, il livello di tutela dei diritti e delle garanzie; e, in ultima istanza, mortifichi la dignità dei reclusi. E questo rende precari e, alla resa dei conti, meno apprezzabili anche quei risultati positivi che pure sono riconoscibili e che la direttrice, Teresa Abate, rivendica con fierezza.
Prendiamo, per esempio, le salette destinate ai colloqui, ristrutturate di recente: non ci sono più i muretti che dividevano detenuti e familiari, gli spazi sono più ampi, i tavoli e i sedili sono di buona fattura e le pareti hanno colori gradevoli. In un cortile esterno è stata realizzata un`area verde, con un piccolo parco giochi colorato, per gli incontri con i figli minori. Due piccoli segnali che evidenziano la possibilità di cambiamento – certo parziale e modesto – delle condizioni di chi vive in quella struttura enorme (67.000 mq), risalente ai primi del Novecento: come testimoniano la struttura architettonica dell`edificio centrale e gli antichi cancelli, chiavistelli e serrature di molti reparti. La medesima combinazione tra il vecchio fatiscente e irreparabilmente chiuso e il nuovo che sembra annunciare qualche timida novità, lo si trova nel reparto Italia.
Qui l`apertura delle celle può arrivare, per alcuni, a nove ore (in ottemperanza a una disposizione ministeriale così tardivamente e parzialmente applicata) e i detenuti sono impegnati in attività lavorative e dispongono di una cella, con un tavolo da ping-pong per la socialità.
Tutto bene se una rapida verifica non documentasse come questo trattamento dignitoso riguarda appena circa duecento persone su una popolazione complessiva, ricordate, di oltre duemila detenuti. Questi ultimi, nella grande maggioranza, sono costretti a passare giorno e notte chiusi in cella, con due sole ore d`aria da trascorrere nei passeggi all`aperto, senza svolgere alcuna attività lavorativa o formativa o ricreativa.
Ventidue ore passate in compagnia di altri quattro, cinque, sei (qualche volta anche più) compagni di cella in 28 metri quadri: questo se sei al reparto Firenze, riservato a chi ha problemi di salute o è al primo ingresso in carcere. Ma ancor meno sono i metri a disposizione in altri reparti, dove le celle sono anguste, buie, occupate da letti a castello, tavoli, sgabelli, fomelletti e caffettiere, pacchi di pasta, frutta fresca e legumi in scatola.
Nel reparto Napoli, dove le pareti sono state tinteggiate di recente e le docce si trovano all`interno delle celle, incontriamo un uomo condannato all`ergastolo, anche se non in via definitiva, e un altro che deve scontare trent`anni: come loro, quel giorno, nella casa circondariale di Poggioreale, destinata a chi è in attesa di giudizio, si trovavano 688 condannati in via definitiva. E anche questo elemento contribuisce a far precipitare la situazione degli istituti di pena e a non consentire quella differenziazione dei circuiti – tra i giudicandi e i definitivi, tra chi non è pericoloso e chi è considerato tale, tra i condannati a pene brevi e i «lungodegenti» e gli ergastolani – che si vorrebbe realizzare da decenni.
Nel reparto Firenze incontro un uomo che appare visibilmente smarrito. Ha 74 anni, è alla sua prima detenzione, è in cella da dieci giorni e deve scontare solo quattro mesi. Quando uscirà, sarà un po` più vecchio.
Nel reparto Italia un recluso ci racconta che gli è stato concesso un permesso per andare a trovare la moglie malata. Un permesso di trenta minuti, che sono appena bastati a lui e ai dieci agenti di scorta per raggiungere fisicamente il letto della moglie e per scambiare solo poche parole.
In mezzo a tanta sofferenza, qualche esile traccia di speranza: tra quanti frequentano un corso per il «rafforzamento» della lingua italiana c`è un detenuto che ha vinto un premio letterario con un racconto ambientato proprio a Poggioreale. Ci parla dell`emozione di un viaggio in treno a Forlì, dove il premio veniva assegnato, e della sua curiosità per quei passeggeri «tutti appiccicati a telefonino o a computer o all`ipad» e senza le chiacchiere e le risate che ricordava nei vagoni di tanti anni fa. Il maestro, alto e dai lunghi capelli grigi, insegna in quel carcere da decenni e guarda i suoi scolari con un misto di ardua; e come quel faticoso lavoro di apprendimento costituisca uno dei pochissimi percorsi di emancipazione possibile.
 Dalla miseria infinita di quel luogo e, allo stesso tempo, dal peso di una condizione criminale che, in quelle condizioni, sembra destinata a perpetuarsi a non offrire scampo alcuno.

Ne Parlano