Una giustizia minore e un diritto diseguale.
L’approvazione, ieri, del decreto Orlando-Minniti sancisce l’introduzione nel nostro ordinamento di una sorta di diritto «etnico» per cui ai cittadini stranieri ex-tracomunitari è riservata una corsia giudiziaria «propria» con deroghe significative alle garanzie processuali comuni. Deroghe non giustificabili in alcun modo con le esigenze di semplificazione delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale. E questa la ragione principale che ha indotto me e Walter Tocci a non partecipare al voto di fiducia richiesto dal governo sulle misure di «Accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, e per il contrasto deU’immigrazione illegale». Con questo gesto abbiamo inteso esprimere il nostro giudizio fortemente negativo su un provvedimento di legge che introduce una profonda lesione nel nostro sistema di garanzie. Una normativa che, appunto, non prevede appello per il richiedente asilo che ha ricevuto un diniego alla domanda di protezione.
La possibilità di impugnare i provvedimenti » adottati dalle Commissioni territoriali è limitata al primo grado e fortemente affievolita poiché, salvo casi eccezionali, non è previsto il contraddittorio: ovvero che il richiedente asilo compaia davanti al giudice e possa esercitare pienamente il suo diritto alla difesa. Così una procedura che regola tutte le iniziative giudiziarie, comprese le liti condominiali, il furto di un chinotto in un supermercato e l’opposizione a una sanzione amministrativa, non viene applicata nel caso di un diritto fondamentale della persona, come la protezione internazionale, riconosciuta dalla nostra Costituzione.
L’alterazione di questa procedura e la sua riduzione a due gradi di giudizio ha conseguenze ha conse¬guenze pesanti sulla vita dei richiedenti asilo e sui diritti di cui sono titolari. Ne discende che un princi¬pio determinante per il no¬stro sistema di garanzie, vigente nell’intero ordina-mento, viene negato pro-prio ai soggetti più vulnera¬bili. E volendo entrare an¬cor più nel merito della
questione, quanto emerge nel corso del colloquio del richiedente asilo davanti alla Commissione territo¬riale, in alcuni casi e per una sene di ragioni, potreb¬be non bastare per disegna¬re il quadro completo della vita di quella persona e far emergere gli aspetti più delicati da un punto di vi-sta umanitario. A questo serve l’udienza col giudice, e la presenza di un certo numero di esiti favorevoli al richiedente asilo in quel¬la sede con il conseguente riconoscimento di una for¬ma di protezione, nono¬stante la decisione della commissione territoriale, non può che confermare quanto sia indispensabile garantire quell’impianto complesso – con il contrad¬dittorio e con i suoi tre gra¬di di giudizio – previsto dal nostro ordinamento. Le esigenze di riduzione dei tempi di queste procedure, dato il contesto difficile e faticoso in cui il nostro Pae¬se si sta muovendo e si muoverà nei prossimi an¬ni, non vanno certo trascu¬rate. Superare tutti i limiti evidenti emersi nella ge¬stione del fenomeno migra¬torio deve essere un obietti¬vo per tutti perché miglio-rerebbe le condizioni di vita non solo dei migranti, ma anche dei tenitori coin¬volti nell’accoglienza. Ma il risparmio del tempo nelle procedure non può corri-spondere a un risparmio di garanzie e diritti.