Quanto un figlio sia il nostro «sangue» e quanto, invece, il frutto di affinità genetica e quanto di sollecitudine e accoglienza, non è facile a dirsi. Non lo è in generale e lo è, ancor meno, in un caso come quello dello scambio di embrioni che sembrerebbe essersi verificato nell`ospedale Sandro Pertini di Roma.
Chi deve considerarsi genitore del bambino che nascerà: in ogni caso la donna che lo partorisce e il suo compagno o la coppia a cui appartengono i gameti? Nel caso di rivendicazione da parte di entrambe le coppie, chi dovrà prevalere e in nome di cosa: della discendenza genetica o dell`aver accolto quell`embrione fino al momento del parto? E fino a quando potrebbe ammettersi una contestazione sulla «effettiva genitorialità»: solo prima della nascita, anche dopo, «in ogni tempo», come recita il codice civile proprio in materia di azioni «di stato»? E se la donna nel cui utero è stato impiantato l`embrione, dopo aver appreso che non le appartiene geneticamente, dovesse non sentirlo più suo, avrebbe il diritto di interrompere una gravidanza che non desidera più? E su questa scelta potrebbe mai intervenire la madre «biologica», richiedendo la «gestazione per altri» di un figlio di cui rivendichi l`appartenenza genetica?
La molteplicità e la diversità degli interrogativi, tutti in qualche modo legittimi e ragionevoli, spiegano bene la complessità delle questioni trattate: e per ciò stesso la delicatezza delle risposte che è possibile tentare. Intanto va detto che un`eventuale interruzione della gravidanza in casi del genere risponderebbe, certo, alla necessità – accolta dalla stessa disciplina sull`aborto e dalla giurisprudenza costituzionale – di considerare la maternità mai come un`imposizione (un destino da accettare anche contro la volontà della donna): bensì il frutto di una scelta consapevole e libera. Così bilanciando i diritti di chi è «già persona» con quelli di chi «persona deve ancora diventare» (Corte costituzionale, sentenza 27/1975).
E tuttavia, la scelta dell`aborto avrebbe, il senso e le conseguenze di una tragedia ancora maggiore. Interrompere una gravidanza così desiderata da superare, con l`aiuto della tecnica ma anche con molti sacrifici per la salute stessa della donna, l`impotenza del corpo. Di fronte a queste «scelte tragiche», ciò che può definire la legge sono e devono essere le garanzie per il bambino che nasce; le condizioni per coniugare, con la maggiore equità possibile, i diritti dei genitori (quelli biologici e quelli elettivi) tra loro e con il «superiore interesse» del figlio; i presupposti perché qualsiasi scelta venga fatta in piena libertà e senza condizionamenti. Ciò che però la legge non può fare è privare, del diritto e della libertà di scelta, quelle donne e quegli uomini che si trovino a vivere un`esperienza certamente non facile, come quella di una genitorialità che prescinda dal legame biologico.
La scissione tra genitorialità biologica e genitorialità elettiva ammessa dalla recente sentenza della Consulta sulla fecondazione eterologa – è una opportunità che deve essere consentita, pur nel rispetto dei diritti che possano contrapporvisi, a coloro che desiderino viverla. Di più: questa possibilità è un diritto che non va negato, almeno quando sia l`unica condizione per accogliere una vita desiderata e impedita dal corpo. Ma non può essere certo imposta, ad esempio alla donna cui sia stato impiantato, per errore, un embrione non suo. Non solo perché così si violerebbero libertà e dignità di quella donna, ma anche perché una genitorialità non biologica, proprio in quanto «elettiva», presuppone il superamento di un`idea – la filiazione basata sul legame di sangue – così radicata in noi da poter essere vinta solo da una forte consapevolezza. Dalla convinta adesione, cioè, a un`idea di amore come accoglienza di chi non in tutto ci appartiene.
La tecnica ci ha aperto nuove e finora impensabili possibilità: che implicano rischi, certo, ma anche straordinarie opportunità. Ma che, soprattutto, ci investono di responsabilità. Responsabilità certamente destabilizzanti, difficili da esercitare, spesso laceranti, ma che sono il presupposto della nostra libertà e che non possono, per questo, essere delegate all`astrattezza e impersonalità della norma.
Di fronte a una vita sempre più al crocevia tra natura e determinazione (biologia e tecnica), si avverte la tentazione di spogliarsi, ciascuno, della propria responsabilità e del peso che inevitabilmente comporta una scelta in materie così importanti, per delegarli a una legge che possa cogliere quella complessità. Ma vorrebbe dire privarsi dell`essenza stessa della libertà, che il diritto dovrebbe limitarsi a ri-conoscere e comporre con le libertà e i diritti di tutti coloro che vi siano coinvolti.

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