Nozze omo all’estero, il figlio di due donne: l’assurdo di uno stato che nega ciò che altrove è un diritto
Le peripezie funamboliche del diritto possono stupire (‘ma quante ne inventano, signora mia, questi giudici’). Eppure ci si deve rassegnare, dal momento che a esigere tanta rocambolesca creatività non sono l`eccentricità sfrenata o il formalismo inesausto della magistratura, bensì la vita sociale e le sue profonde e dirompenti trasformazioni. E così, mentre la procura di Roma apre un`indagine (per peculato e abuso d`ufficio) per la trascrizione nei registri comunali delle nozze contratte all`estero tra persone dello stesso sesso, la Corte d`appello di Torino consente la registrazione all`anagrafe di un bimbo nato in Spagna come figlio di due donne.
 Entrambe le vicende riguardano coppie omosessuali recatesi all`estero per esercitare diritti – o comunque avvalersi di tutele – che in Italia sono loro negati. Nel primo caso, il matrimonio o, più semplicemente, il riconoscimento giuridico dell`unione civile; nel secondo caso la fecondazione eterologa. E in entrambe le vicende, queste coppie, dopo essere state costrette al ‘turismo dei diritti’, hanno richiesto allo stato italiano, e per la prima volta ottenuto, il riconoscimento giuridico di quell`atto formato all`estero.
Una banalità, si direbbe: la mera registrazione di un atto che in paesi – quali la Spagna – non certo meno democratici del nostro è già stato istruito, autorizzato e formalmente sancito come legittimo. E dunque, perché stupirsi tanto se una sentenza (quale quella della Corte d`appello di Torino) afferma quest`ovvietà? Ed è possibile anche solo ipotizzare che la trascrizione di un atto di stato civile, legittimamente formato all`estero, costituisca abuso d`ufficio e addirittura peculato? Può l`adempimento ai proprio doveri, da parte di un funzionario dello stato, risolversi nel suo opposto: in un reato di ‘abuso di potere’?
A questi paradossi rischia di condurre un`interpretazione regressiva – ma sinora assolutamente incontrastata – del concetto di ‘contrarietà all`ordine pubblico’ dell`atto da trascrivere e che appunto, secondo le norme vigenti, ne impedisce il riconoscimento in Italia. E, infatti, esso è stato sinora il limite opposto a chi, recatosi all`estero per esercitare diritti fondamentali qui preclusi, ne rivendica il riconoscimento in Italia. Con la conseguenza di condannare alla totale irrilevanza giuridica (una quasiclandestinità) tanto unioni perfettamente legittime poco oltre i confini nazionali, quanto i ‘veri’ genitori (omosessuali) di bimbi nati all`estero: coloro i quali, cioè, a quella vita hanno affidato non dei gameti ma un progetto esistenziale e familiare.
Ma come può l`ordine pubblico (in quanto tale espressivo dei valori fondativi dell`ordinamento) affermarsì contro la dignità e l`eguaglianza delle persone, nel momento in cui impedisce il riconoscimento di diritti fondamentali quale, appunto, quello alla vita familiare? E ciò in qualunque tipo di famiglia essa si svolga. A quest`interpretazione – che finisce invece, essa sì, con il violare quella componente essenziale dell`ordine pubblico che è la tutela delle libertà – alcuni comuni italiani e la Corte d`appello di Torino hanno invece opposto una lettura ‘evolutiva’ delle norme vigenti, che globalizzi, insomma, non l`indifferenza ai diritti, ma la loro promozione. Così, la sentenza torinese supera il limite della ‘contrarietà all`ordine pubblico’ declinandolo ìn funzione del ‘superiore interesse del minore’ a vedere riconosciuto anche giuridicamente, in questo caso, il legame con i propri genitori.
Con argomenti affini, una recente decisione del Tribunale per i minorenni di Roma ha consentito l`adozione del figlio del partner (omosessuale) nato all`estero, con fecondazione eterologa. E questo, in base all`argomento secondo cui il benessere del bambino ‘non è legato alla forma del gruppo familiare in cui è inserito, ma alla qualità delle relazioni che vi si instaurano’. In tutti questi casi, dunque, le sorti di una famiglia, di un bambino e dei suoi affetti erano legate a formule (l`ordine pubblico’; il superiore ‘interesse del minore’), la cui ampiezza, come spesso accade nel diritto, è una risorsa da valorizzare, perché consente di adeguare la fissità delle norme all`evoluzione sociale. Riempire di senso parole altrimenti vuote, per promuovere diritti anziché impedirne l`esercizio, è forse la funzione più nobile del diritto. E, come scriveva Garapon, restituire a ciascuno la propria dignità di soggetto di diritti, risvegliandone la sovranità, è il vero obiettivo dell`intervento giudiziario.

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