Il caso di Erri De Luca, lo stato democratico e il processo alle opinioni scomode
Una delle prove della ‘superiorità morale’ della sinistra – che notoriamente non esiste – consiste nel seguente dettaglio (dettaglio?). Nel fatto, cioè, che conosciamo diverse persone decisamente di sinistra disposte a pronunciarsi e, se necessario, a battersi, per la tutela delle garanzie di avversari politici. E` successo, molti anni fa, a proposito di Francesco De Lorenzo e di Paolo Cirino Pomicino; potrebbe succedere, ora, per quanto riguarda i limiti imposti dal 41 bis alla concessione di benefici a Totò Cuffaro, ma è accaduto in passato numerose volte. Non si dimentichi che la campagna ‘E se fossero innocenti?’, relativa ad alcune (sottolineiamo alcune) imputazioni per Francesca Mambro e Giusva Fioravanti venne promossa, tra gli altri, da esponenti di sinistra. E che il Manifesto sostenne una nostra iniziativa umanitaria a favore di Andrea Insabato, condannato per aver realizzato un attentato contro la redazione del ‘quotidiano comunista’. Ma gli esempi possono essere tanti. Eccone un altro, a disposizione di chi lo voglia, per i prossimi mesi. A ottobre Francesco Storace sarà giudicato per ‘vilipendio’ nei confronti del capo dello stato e rischia, se condannato, una pena da uno a cinque anni. All`origine c`è un articolo particolarmente greve (persino per gli stessi standard di Storace) contro la senatrice a vita Rita Levi Montalcini. A Giorgio Napolitano che definiva ‘indegno quello scritto’, Storace replicava chiamando ‘indegno’ il capo dello stato. Va da sé che il processo contro Storace e quella imputazione costituiscono un reperto anacronistico e illiberale del passato, che andrebbe immediatamente abrogato. Dunque, se c`è da firmare, firmiamo subito. Per Storace e nonostante Storace. Ma non si è sentita finora la voce di Storace, e nemmeno quella di Giuliano Ferrara, a sostegno di Erri De Luca. Quest`ultimo è imputato di istigazione a delinquere per una dichiarazione in cui manifestava la propria contrarietà a un`opera (la Torino-Lione) ritenuta inutile e la propria solidarietà al movimento No Tav. E il ‘sabotaggio’ sarebbe il delitto cui, secondo la procura di Torino, De Luca avrebbe istigato i suoi lettori.
 Letteralmente, De Luca aveva parlato in effetti proprio di ‘sabotaggio’ della Tav, come unica alternativa alle mediazioni fallite. E come sabotaggio in senso letterale e tecnico sembrerebbe averlo inteso la danneggiamento di ‘macchine, scorte o strumenti destinati alla produzione (…) industriale’ (art. 508 c. p.). E alla commissione (del tutto eventuale e ipotetica) di tale reato, De Luca avrebbe, appunto, istigato. Ma proprio a questo delitto si riferiva De Luca dicendo che la Tav ‘va sabotata’? Forse intendeva, più verosimilmente, il sabotaggio in senso atecnico; quale azione politica di contestazione e contrasto, ma non necessariamente violenta. In quest`ipotesi, quindi, De Luca risponderebbe penalmente per aver espresso un`opinione, al più aver fatto propaganda politica avversa a un`iniziativa del governo; nell`esercizio, dunque, di un diritto fondamentale. E l`imputazione ricorderebbe un po` quella ‘propaganda antinazionale’ che solo da otto anni non è più reato. E comunque, se anche alludesse non al sabotaggio in senso lato, ma proprio a quel particolare danneggiamento punito dal codice, De Luca risponderebbe pur sempre di un`opinione. Che non sarebbe legittimo punire neppure per evitare che quegli atti di ipotetica violenza cui egli istigherebbe vengano poi, effettivamente, realizzati. In una democrazia, infatti, il limite ultimo cui può spingersi la pena è quello del tentativo: di quegli atti, cioè, finalizzati in maniera diretta e inequivocabile alla commissione di un delitto. Spingersi oltre vorrebbe dire processare e punire, appunto, le intenzioni. Non a caso, regimi totalitari come quello nazista punivano il tentativo allo stesso modo del reato consumato, ritenendo di dover sanzionare non la lesione di un bene giuridico ma l`intenzione criminosa manifestata, indifferentemente, in parole o atti.
Sanzionare solo il ‘fatto’ umano
La conquista più grande dei sistemi liberali è stata invece sostituire al diritto penale delle intenzioni il diritto penale del fatto, limitando cioè la punibilità alle sole azioni manifestate con atti esteriori, lesivi di valori essenziali per l`ordinamento. Scriveva già Hobbes: ‘Per le intenzioni, che non si manifestano mai come atti esteriori, non vi è posto all`accusa umana (…) delitti sono solamente quelle colpe che possono essere presentate davanti al giudice, e che perciò non sono semplici intenzioni’. Le Costituzioni moderne hanno poi codificato il principio di materialità come presupposto di legittimazione della pena, che può sanzionare solo il ‘fatto’ umano, che sia oltretutto lesivo di beni giuridici. La stessa apologia è stata ritenuta dalla Consulta legittima solo in quanto intesa come non limitata alla mera ‘manifestazione di pensiero pura e semplice, ma a quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti’ (sent. 65/1970). In altre parole, sembra affermarsi – e finalmente – l`idea che una democrazia, preoccupata di proteggersi con un sistema di pene da opinioni e idee per quanto scomode, confessi così la propria debolezza.

Ne Parlano