Ma lei diceva che solo in casi di questo tipo è giusto.
«Si, perché può esistere una oscenità delle immagini di morte e una vera e propria pornografia necrofila. L’osceno deriva dalla ripresa dettagliata e compiaciuta di un gesto, come, per esempio, la decapitazione di un prigioniero».
Come nei video de 11 Isis.
«Anche nel caso di una condanna capitale legalmente inflitta; come le riprese dei condannati alla sedia elettrica o impiccati. Ma qui si ha la documentazione di una tragedia già avvenuta: l’immagine di una disumanità interamente dispiegata e definitiva. Personalmente mi sono trovato a contribuire alla decisione drammatica di rendere pubbliche immagini di morte».
In che circostanza?
«Quando i familiari di Stefano Cucchi, deceduto in custodia cautelare, mi incaricarono di diffondere le foto del loro congiunto sul tavolo dell’obitorio. Convinto dell’opportunità, non mi pronunciai finché, in piena autonomia loro decisero. Poi diffusi quelle foto perché le ritenevo indispensabili per mostrare quale strazio quel corpo avesse patito, j
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anche i familiari di Franco Mastrogiovanni, morto dopo 8 ore di letto di contenzione, legato mani e piedi, mi chiesero di far conoscere il video della telecamera che riprendeva quella infinita agonia. Anche quella volta una scelta dolorosamente necessaria: crudele innanzitutto per i suoi cari, ma rivelatasi essenziale per rendere manifesto l’orrore».
Cosa hanno aggiunto alla percezione del lettore le (foto di Aylan?
«Il senso di una soglia or-mai superata e dalla quale non è possibile tornare indietro: un limite violato e non più riparabile, un richiamo a qualcosa di intollerabile, che pure continuiamo a ignorare e che, temo, tollereremo ancora».
Dopo lo choc, il dibattito in Europa sul diritto d’asilo può avere slancio maggiore?
«Me lo auguro con tutto il cuore, ma resto pessimista. Nonostante tutto, il peccato dell’indifferenza sembra corrompere le classi polìtiche e gran parte delle opinioni pubbliche, facendo scordare le tragiche morti del passato».