“Gentile presidente Paolo Gentiloni, da tempo siamo uniti da una affettuosa conflittualità e questo mi autorizza a sottoporti prioritariamente – come direbbe un giornalista sportivo di Mediaset – una “clausola di stile”. Ovvero, dal momento che questa è una lettera aperta a te indirizzata, mi piacerebbe ricevere una tua risposta altrettanto aperta. Dall’inizio di questa legislatura il governo, guidato da te e dai tuoi predecessori, ha chiesto la fiducia al Senato per 61 volte. Per 49 volte ho risposto positivamente, per sette ho negato la fiducia, per cinque non ho partecipato al voto (per ragioni di salute). Dico questo per sottolineare come la richiesta della fiducia sia un atto tutt’altro che raro (una volta ogni 26 giorni) pressoché fisiologico – una sorta di fisiologia appena un po’ frenetica – e che non comporta alcunché di drammatico, tantomeno di traumatico. È una scelta politica, tanto più motivata quanto più corrisponde a obiettivi dichiarati e a valori condivisi. Dunque, come mai non si è fatto ricorso a questa procedura a proposito del disegno di legge sullo ius soli? Un disegno di legge ripetutamente da te definito “imprescindibile”; e, poi, “irrinunciabile” (Matteo Renzi); e “ineludibile” (Ettore Rosato). E, allora, come mai si è deciso di non ricorrervi in questo caso? Si dice: “non ci sono i numeri”. Ma la politica insegna che, i numeri, li si conquista. Anzi, che questo è il cuore della politica, ancor più quando si ritiene che il fine perseguito sia “irrinunciabile”. E, invece, qui si è rinunciato – direi senza combattere – e, poi, ci si è dichiarati sconfitti. Ma questa è esattamente la negazione della politica stessa. Mi sembra che qualcosa di assai simile vanno dicendo, in queste ore, personalità politiche diverse come Graziano Delrio, Emanuele Macaluso e Andrea Orlando. Aggiungo: chi, come me, non ha dato la fiducia nel caso di provvedimenti considerati profondamente sbagliati (a proposito proprio del tema dell’immigrazione) aveva dato credito, tuttavia, alle tue parole e a quelle del ministro dell’Interno quando vi siete espressi come segue: “oggi è opportuno varare norme rigide che garantiscano la sicurezza per poi, subito dopo, approvare leggi che favoriscano l’integrazione”. Non è andata così. Una volta ottenuti provvedimenti assai severi (e sono trascorsi già sei mesi), si rinuncia al primo e principale strumento di una possibile integrazione, com’è quello rappresentato dall’accesso alla cittadinanza. Esattamente questo è ciò che, senza mezzi termini, risulta agli occhi dell’opinione pubblica. E allora, per quanto mi riguarda, mi è impossibile assecondare ulteriormente questa strategia rovinosa. Naturalmente posso parlare solo per me e, pur senza sentirmi isolato, so di non poter vantare consensi oceanici. E, tuttavia, sento il dovere di dire, con rammarico, che d’ora in poi nel poco tempo che resta a questa legislatura, la mia fiducia al governo sarà meno scontata di quanto lo è stata in passato”ufficiostampa.
Roma, 14 settembre 2017


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