Ha apprezzato le parole del neo segretario Pd, Enrico Letta. Dal passaggio sulle alleanze allo Ius soli, che “è una richiesta che guarda al Parlamento, non certo al governo”, di cui nella scorsa legislatura il disegno di legge portava anche la sua firma. Quella di Andrea Marcucci, il capogruppo dem al Senato, completamento conquistato dalla ‘cura’ Letta per la rinascita del Partito democratico. Ma ciò che lo ha colpito di più è stato “il nuovo protagonismo” del Pd a cui mira il neo segretario, sia nell’alleanza con il M5S di Giuseppe Conte sia come “partito aggregante verso il centro e verso sinistra”. E sul silenzio di Matteo Renzi, unico leader del centrosinistra a non aver augurato buon lavoro all’ex premier, Marcucci sostiene che forse “un Pd con un forte tratto riformista non è ciò che si aspettava”. Al momento, poi, non gli risulta l’ipotesi di uno scambio in Senato con Anna Rossomando al suo posto come capogruppo dem e lui alla vicepresidenza dell’Aula.

Marcucci cosa ne pensa del discorso di ieri di Enrico Letta? Cosa le è piaciuto di più dei punti del suo programma?
“L’intervento di Enrico Letta mi è piaciuto integralmente. Tra i tanti passaggi, quello sulle alleanze. Un nuovo protagonismo nel dialogo con il M5S di Conte, ed un cantiere che si apre in tutto il centrosinistra, con il Pd capofila di una proposta politica aperta a tutti i contributi”.

E sullo Ius soli, subito criticato da Salvini e Fratelli d’Italia?
“Andrea Orlando ha distinto bene i campi da gioco, lo ius culturae, come preferisco chiamarlo, è una richiesta che guarda al Parlamento, non certo al governo. Nella scorsa legislatura il disegno di legge portava anche la mia firma, è un diritto ampiamente maturo per le nostre società. Vedremo i numeri in Parlamento”.

Il neo segretario dem avvierà una “verifica” sulla linea nei gruppi parlamentari di Camera, Senato ed europarlamento. E circola l’ipotesi che a Palazzo Madama il suo posto da capogruppo venga preso da Anna Rossomando e che lei, invece, prenderebbe la vicepresidenza dell’Aula. Le risulta?
“Intanto il ragionamento di Enrico Letta non era rivolto al gradimento sui capigruppo, bensì dei gruppi e dei territori sulla sua nuova impostazione data al Pd. Per quanto riguarda le fantasiose ricostruzioni sul mio conto, non mi risultano. Però io sono un cultore della verifica nei gruppi parlamentari, e la pratico molto spesso, appena è possibile. Da noi le assemblee di gruppo sono convocate frequentemente, per dire ne ho una convocata anche domani. Nel 2019, come successe al mio collega Delrio, fui riconfermato presidente con un seguito molto alto. Non credo che i numeri siano cambiati”.

Letta vuole “un nuovo Pd”, non un partito del potere ma che riparta dalle sezioni. Cosa non ha funzionato nel vecchio Pd?
“Gli ultimi due anni hanno registrato svolte repentine in tempi molto veloci. È sicuramente possibile che qualche volta i dirigenti del Pd abbiano perso la connessione sentimentale con il Paese e con la propria base. Va anche detto che lo abbiamo fatto, a partire dall’ex segretario Zingaretti, spinti dal senso di responsabilità per l’Italia. La ‘cura’ che ci ha proposto ieri Letta è comunque efficace, intelligente e decisamente diversa. Dobbiamo recuperare la capacità di parlare a Rosanna che fa la fisica nel Nord Italia, e non più solo al nostro ombelico”.

L’intenzione di Letta poi è quella di creare un partito che abbia le porte aperte. Quindi sulle alleanze, è stato chiaro: allarghiamo al M5S, a Renzi. È d’accordo?
“È il ritorno in grande stile della vocazione maggioritaria, perché il segretario lo ha specificato bene: in quell’alleanza, anche con il M5S del professor Conte, il Pd dovrà essere protagonista, il partito aggregante verso il centro e verso sinistra”.

Ieri però Renzi è stato l’unico leader di centrosinistra a non fare un tweet di auguri a Letta. Perché secondo lei?
“Dovrebbe chiederlo a Matteo Renzi, posso immaginare che un Pd con un forte tratto riformista non è ciò che si aspettava”.


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