Europa, lavoro, istituzioni. Sono le tre parole chiave del seminario organizzato da Area riformista da domani a sabato a Massa Marittima. Tre parole da leggere insieme, esaltando le connessioni piuttosto che le particolarità, i nessi che consentono una visione a largo raggio.
Assumiamo l`imperativo del cambiamento e le responsabilità che vengono al Pd dal grande successo del 25 maggio. E ragioniamo sull`evoluzione che serve al suo bagaglio di idee e proposte.
Niente sguardo all`indietro ma una discussione aperta su quale sia il futuro giusto. Il grande compito che sta di fronte a noi Renzi lo dice bene ogni giorno – richiede, oltre che grande abilità politica e comunicativa, un salto culturale senza precedenti. Non è azzardato dire che è più facile prendere il 40,8% dei voti che confermarlo, a suon di risultati. Il Pd d`ora in poi dovrà mantenere le promesse, rafforzare istituzioni e politica realizzando gli immani cambiamenti che ha annunciato. Se questo non avvenisse non sarebbero guai solo per il Pd, ma per tutto l`assetto democratico dell`Italia e dell`Europa.
 Il nostro specifico, originale approccio a questo passaggio sta nell`idea che il cambiamento – per essere profondo e duraturo – deve avere un chiaro segno progressista e democratico, recuperando e aggiornando i valori dell`eguaglianza, della qualità dello sviluppo, della partecipazione. E deve costruire, attraverso la solidità di un impianto programmatico e di azione, un consenso popolare non volatile.
 C`è molto lavoro da fare. Il campo progressista e di sinistra, in Europa e non solo, viene da una pesante sconfitta, maturata dopo la crisi finanziaria del 2008. La malattia del turbocapitalismo non ci ha visto all`attacco, con un messaggio di denuncia ed alternativa credibile. Persa la grande occasione il neoliberismo è passato al contrattacco, costringendoci sulla difensiva e su posizioni spesso subalterne.
 Abbiamo pagato lo smarrimento culturale di fronte agli tsunami in atto; e l`incapacità di cogliere i nessi decisivi tra economia, istituzioni, questioni sociali e culturali. Abbiamo spesso risposto con le versioni più deboli della nostra cultura: miopia nazionale invece che nuovo europeismo, economicismo invece che lettura moderna della società e della cultura, politicismo invece che rinnovamento dei partiti e della loro classe dirigente.
Qui si è infilato il populismo, il nuovo avversario. Ad esso abbiamo contrapposto, con la leadership di Renzi, una strategia d`attacco, un mix di appello alla responsabilità e di critiche talora trancianti alla politica. Questo contrasto ha avuto successo, ne va dato atto senza riserve. Ma lo stesso premier sa (e dice) che il bello comincia ora, e che siamo attesi a prove durissime. Dove conterà la robustezza, la profondità e anche l`originalità della nostra cultura politica e di governo. Servirà a poco il conformarsi a vecchi o nuovi pensieri dominanti e avrà poco senso fare gli scettici permanenti.
 Bisogna invece produrre cultura e accrescere le capacità realizzative. Costruire le condizioni larghe per affrontare la prova, non un nuovo riformismo dall`alto. Mi ha colpito una recente frase di Reichlin: occorre «dotare le persone di nuove armi politiche e sociali capaci di contrastare la potenza delle oligarchie con poteri meno fragili di ciò che resta dei partiti, dei sindacati, della famiglia, dell`associazionismo, della sovranità degli Stati nazionali (il deserto che ci sta davanti)».
E dunque dire Europa vuol dire pensare ed agire col respiro di un partito radicato nel solo scenario che conta. Per paradosso, il Partito della Nazione comincia dal superamento dell`angustia nazionale e dal concepirsi pienamente comunitari.
Dire Europa insieme a lavoro vuol dire battersi perché davvero cambi la politica dell`austerità a senso unico e si avvii uno sviluppo qualitativamente nuovo. Vuol dire fare sul serio nel campo della green economy e della ricerca, e creare occupazione qualificata e un dinamismo sociale più virtuoso.
E dire infine queste due parole insieme a istituzioni significa che c`è un tema che tutto riassume: è quello della democrazia, del suo rafforzamento contro ogni ipotesi di banalizzazione o virtualizzazione.

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