“Il dibattito seguito ai referendum dell’8 e 9 giugno dovrebbe indurre tutti, forze politiche e giuristi, a ricercare soluzioni costruttive ed equilibrate, capaci di preservare lo spirito originario del referendum e tutelarlo in quanto strumento di partecipazione democratica. È questo lo spirito della proposta di innalzare il numero di firme necessarie per presentare un quesito – portandolo da 500.000 a 800.000 firme, numero che può anche essere portato a 1 milione – e parametrare il quorum alla percentuale di votanti alle elezioni politiche, già avanzata in passato dal senatore Dario Parrini. In questo senso mi auguro che il confronto si misuri anche con le riflessioni contenute nell’intervista del presidente della Corte costituzionale Giovanni Amoroso. L’opportunità di un adeguamento del quorum, del resto, è da lunghi anni presente nel dibattito costituzionale ed era stato proposto dalla Commissione per le riforme costituzionali nominata nel 2013 dal presidente Giorgio Napolitano, della quale facevano parte illustri costituzionalisti rappresentativi di tutte le culture costituzionali e politiche”. Così in una nota il Senatore del Partito Democratico Marco Meloni, membro della Commissione Affari Costituzionali al Senato.
“Per questo – aggiunge – trovo singolare l’obiezione avanzata dal professor Sabino Cassese oggi su “Il Tempo”, secondo cui la nostra proposta metterebbe “in contraddizione il popolo con sé stesso”. La rappresentanza parlamentare è sempre più debole: oggi una maggioranza politica può formarsi – e dunque approvare leggi fondamentali – con il consenso di appena un quarto di tutti gli aventi diritto al voto, come è successo alle ultime elezioni politiche. È legittimo allora domandarsi: perché dovrebbe essere necessario mobilitare la metà più uno dell’intero corpo elettorale per rimettere in discussione quelle stesse leggi? Il quorum previsto dall’articolo 75 aveva senso in una fase storica in cui l’astensionismo era residuale e la partecipazione elettorale molto alta. Oggi rischia di svuotare lo strumento referendario, rendendolo di fatto impraticabile. Sarebbe una sconfitta non per una delle parti politiche, ma per la democrazia italiana”,