Credo che l’inchiesta coordinata dalla DDA di Milano, che ha portato a undici arresti, meriti qualche riflessione. Non tanto e non solo perché alcune ditte coinvolte hanno allestito 4 padiglioni ad EXPO su commissione della società dedicata agli allestimenti di proprietà di Fiera Milano. Da questo punto di vista le infiltrazioni in aziende coinvolte nella costruzione di padiglioni non può e non deve far perdere di vista lo straordinario lavoro fatto negli anni da tutte le istituzioni coinvolte, col contributo decisivo di ANAC, per impedire che i grandi appetiti della criminalità organizzata sulla esposizione internazionale trovassero soddisfazione. È da tutti riconosciuto, dall’antimafia alle forze dell’ordine fino alla magistratura, che le norme e le attività messe in campo, sia a livello nazionale che locale, hanno funzionato, producendo oltre 90 provvedimenti interdettivi e oggi costituiscono un modello di intervento esportabile ed esportato per mettere in sicurezza tutte le grandi opere. I temi su cui credo, però, sia più importante riflettere, perché continuano ad essere troppo sottovalutati, sono altri e riguardano il livello di presenza e infiltrazione delle mafie, di tutte le mafie, soprattutto al nord, nella economia e nelle imprese. Su questo serve prendere atto che siamo di fronte ad un fenomeno consolidato, radicato, di cui non è percepita la pericolosità, ma che in realtà è in grado di inquinare l’economia e la concorrenza e, quindi, la nostra stessa convivenza. Sono ormai troppe le inchieste, da Aemilia a quelle numerose della DDA milanese, che raccontano della disponibilità degli imprenditori a collaborare con la criminalità organizzata in cambio di vantaggi e, ancora di più di una fascia grigia formata da professionisti che lavorano per organizzare reati fiscali, false fatturazioni o veri e propri atti illeciti. Le stesse dichiarazioni, più volte fatte dalla stessa dottoressa Bocassini, che raccontano di imprenditori che cercano la criminalità organizzata e di un fortissimo livello di omertà tra loro, spiegano quanto sia urgente affrontare una questione che non può essere delegata alla magistratura. Anche l’inchiesta conclusasi in queste ore con gli arresti di ieri pone alle organizzazioni imprenditoriali e agli ordini professionali la necessità di fare di più per prevenire, denunciare e penalizzare tutti i comportamenti che possono favorire l’illegalità, comprese le sottovalutazioni colpevoli che spesso consentono di liberare la strada al malaffare. La commissione Antimafia in questi anni ha più volte incontrato le associazioni imprenditoriali e gli stessi ordini professionali per porre loro il tema del ruolo che possono e dovrebbero svolgere per combattere le infiltrazioni mafiose. Ma i risultati non sono sufficienti. Eppure credo che sia prima di tutto interesse della stragrande maggioranza degli imprenditori e dei professionisti espellere dal tessuto legale chi getta discredito sulle loro categorie e inquina il mercato. Questa riflessione nulla toglie alla necessità che la politica e le istituzioni continuino a lavorare per alzare un muro rispetto alle penetrazioni mafiose. In questi anni con ANAC, la legge anticorruzione, il falso in bilancio e il nuovo codice degli appalti, si sono fatte cose importanti, ma la necessità di combattere le infiltrazioni criminali nella politica e nella pubblica amministrazione deve continuare ad essere prioritaria. Si tratta però di prendere atto che oggi, alla luce di queste inchieste, anche per le associazioni imprenditoriali e per gli ordini professionali il tema della lotta alle mafie deve assumere una centralità che si traduca in una nuova consapevolezza e in iniziative concrete.


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