Occuparsi delle carceri e delle condizioni della detenzione non porta voti e parlare di ciò che succede negli istituti di pena non interessa a chi è fuori. Ma la politica non può non occuparsene; il governo non può restare inerme di fronte ai problemi e l’opinione pubblica indifferente perché, da come vengono trattati i reclusi, si misura il grado di civiltà di un Paese.

Soprattutto, non è accettabile l’inerzia e l’indifferenza di fronte alle condizioni delle carceri in Italia: ci sono più di diecimila detenuti in eccesso rispetto alla capienza massima degli istituti, carceri come San Vittore in cui vivono il doppio dei detenuti rispetto ai posti esistenti; il numero dei suicidi, anche tra gli agenti di custodia, è inaccettabile; la sovrappopolazione e il degrado rendono più difficili le attività di lavoro formazione e studio e fanno sì che si moltiplichino gli episodi di violenza. Infine, la condizione di molti istituti per i minori è fuori controllo, avendo il governo – con il Decreto Caivano – provocato un aumento del 30% dei reclusi.

Di fronte a questa realtà drammatica che, al di là dei numeri, racconta la sofferenza di tante e tanti detenuti e operatori dentro le carceri, il governo ha scelto di non fare nulla perché, di fronte all’emergenza di ora, ha scelto di promettere nuove assunzioni di personale e la costruzione di nuove carceri nei prossimi anni. In sostanza, ha scelto di non intervenire per ridurre la popolazione carceraria e migliorare la vita di tante persone recluse. Nel recente passato, i governi precedenti hanno, in particolare durante il Covid, adottato provvedimenti che hanno funzionato bene per evitare la sovrappopolazione senza ridurre la sicurezza. Liberazione anticipata per chi aveva 6 mesi da scontare, domiciliari con controllo elettronico per chi aveva ancora 18 mesi di pena, sono provvedimenti che anche oggi aiuterebbero a far fronte all’emergenza.

Non solo, con la ministra Cartabia, erano state introdotte norme che andavano nella direzione giusta, quella indicata dalla Costituzione, che considera la pena come uno strumento di riabilitazione e il carcere come extrema ratio in un sistema che investe sulle pene alternative, la messa alla prova, i domiciliari per i reati meno gravi.
Per stessa ammissione dei suoi esponenti, questo governo ha scelto di considerare il carcere come esclusivamente una punizione, una rivalsa della società contro chi delinque e, quindi, le sofferenze e il degrado “se lo sono meritato”, dimenticando il dettato costituzionale e la necessità di trattare con umanità e rispetto i detenuti anche per evitare che il carcere generi violenza e recidività a scapito della stessa sicurezza di tutti.

L’argomento, spesso usato, che chi rivendica diritti per i detenuti dovrebbe, invece, occuparsi delle vittime dei reati è sbagliato. Una cosa non esclude l’altra. Investire sui servizi per dare assistenza a chi subisce un reato e sulla giustizia riparativa e velocizzare i processi per rispetto delle vittime, sono cose necessarie che si fanno troppo poco e su cui non c’è traccia di interventi da parte del governo. Ma, allo stesso tempo, rendere dignitosa la detenzione intervenendo subito per uscire dall’emergenza di oggi è una necessità di civiltà che è grave e colpevole non vedere.


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