Lo statuto Pd non prevede un segretario a tempo, ma solo «un leader  nella pienezza delle sue funzioni» e le componenti del partito devono smetterla di praticare «lo sport del logoramento del leader». Antonio Misiani, senatore Pd ed ex viceministro all`Economia, spiega che il partito ha certamente bisogno di una fase «costituente», di una «discussione larga e aperta», più che di litigare su «quando si fanno le primarie».

Misiani, Letta ha preso 48 ore di tempo. Pensa che riuscirete a convincerlo?

«Spero proprio di sì. La sua è una figura di assoluta autorevolezza e attorno a lui può avviarsi un percorso di rigenerazione del Pd. Ma togliamoci dalla testa che con l`elezione di Enrico Letta i problemi svaniscano magicamente. Il gruppo dirigente del Pd deve recuperare la coesione e la solidarietà che sono venute meno
nella fase più recente, altrimenti non ne usciamo. Il logoramento dei leader è uno sport nel quale il Pd ha dimostrato di eccellere, ma è ora di cambiare sport».

Lui chiede garanzie, non pare disponibile ad un mandato a tempo, ma le minoranze insistono sul congresso appena possibile. Come se ne esce?

«Lo statuto Pd prevede che l`assemblea elegga un segretario, punto. Io credo che oggi più che mai serva un leader nella pienezza delle funzioni. Il congresso si farà, nei tempi che verranno decisi dal nuovo segretario e dal suo gruppo dirigente. Ciò detto, oggi è assolutamente necessaria una discussione sull`Italia e non su noi stessi, nella nuova fase aperta dal governo Draghi. Qualcosa di più di un ordinario appuntamento congressuale. Non l`ennesima conta interna ma un costituente e un nuovo programma per un Paese cambiato profondamente dalla pandemia. Credo che l`Italia si aspetti da noi una discussione a questo livello, non certo un ceto politico che si contorce su chi deve fare il vice-segretario o su quando fare
le primarie. Non ci serve un vuoto unanimismo di facciata, meglio un confronto vero tra le diverse sensibilità ma con un gruppo dirigente capace di remare tutto dalla stessa parte. Non è una missione impossibile, avviene in gran parte delle realtà nel territorio».

Vuol dire che in queste settimane nel Pd qualcuno ha remato contro?

«Credo che le polemiche di queste settimane abbiano prodotto sconcerto, anziché il necessario chiarimento. E le dimissioni di Nicola Zingaretti ne sono la drammatica risultante».

Molti, a cominciare da Goffredo Bettini, spingono per un dialogo con la sinistra anche fuori dal perimetro del Pd. Bersani chiede un «soggetto nuovo». Vede il rischio che il chiarimento porti ad una separazione della sinistra dai moderati?

«Non credo che la nostra prospettiva possa essere quella di rifare i Ds e la Margherita, e sono convinto che nemmeno Bettini lo pensi lontanamente. L`Italia ha invece bisogno di un Pd che interpreti il ruolo e occupi lo spazio politico di una
grande forza di sinistra del ventunesimo secolo: ambientalista, europeista e riformista. Il tema non è tornare alle categorie di venti anni fa ma fare del pd il punto di riferimento di quella larga parte del paese che oggi non si riconosce nel populismo e nel sovranismo».

A proposito di governo Draghi, il Pd sembra a disagio. Eppure il premier segue un programma che dovrebbe mettere più in difficoltà Salvini che voi, no?

«Dobbiamo essere consapevoli che si è aperta una fase nuova col governo Draghi, un`intera strategia politica va ripensata ricollocando ruolo e funzione del Pd in un contesto di sostanziale unità nazionale. Io rivendico il lavoro che il Pd ha fatto nel governo “Conte due”. Ciò detto sarebbe un errore affrontare questa stagione nuova da orfani del governo precedente. Il punto, semmai, è dare corpo e forza al nostro apporto nell`esecutivo Draghi. Il programma europeista e riformista del premier è un terreno in cui ci possiamo pienamente riconoscere».


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