“Quanto è successo ieri in Consiglio dei ministri è l’ennesima puntata di un inaccettabile gioco del più uno da parte di Salvini: un continuo rilancio, per puro calcolo politico, rispetto alle posizioni concordate in seno al governo”, attacca l’ex viceministro del Tesoro Antonio Misiani, responsabile economico della segreteria Letta. “Bene ha fatto il presidente Draghi a tenere il punto, male la Lega a distinguersi in una fase delicatissima in cui serve il massimo della coesione e grande senso di responsabilità”.

Delicatissima perché senatore? Gli indicatori sulla diffusione del virus sono tutti in discesa, non intravede anche lei la fine del tunnel?
“Certo, ma proprio per questo non dobbiamo commettere passi falsi. In Italia non abbiamo ancora il numero di vaccinati di altri Paesi che hanno iniziato a riaprire. E dobbiamo gestire una situazione economica e sociale molto difficile”.
Ma proprio perché la situazione economica e sociale è molto difficile, perché non allungare di un’ora il coprifuoco e riaprire i ristoranti senza troppi vincoli?
“Riaprire è necessario ma dobbiamo farlo in sicurezza e in modo irreversibile, tenendo conto della realtà. La Gran Bretagna, che viene sempre citata come esempio, ha vaccinato il 49 per cento della popolazione ma continua a tenere chiusi cinema e teatri, mentre pub e ristoranti possono lavorare solo all’aperto. Il coprifuoco è un’amara realtà che condividiamo con tanti Paesi europei. Le misure vanno allentate ma contestualmente ai progressi della campagna di vaccinazione, non prescindendo dai dati sanitari”.
Ora però anche le Regioni sono in rivolta, chiedevano un maggiore allentamento delle misure e lamentano di essere rimaste inascoltate.
“Le Regioni hanno il sacrosanto diritto di far sentire la loro voce, ma la responsabilità ultima delle decisioni è e resta in capo al governo”.
La scelta dei ministri leghisti di non votare il Dl Covid è uno strappo che si può ricucire o il preludio a una crisi di governo?
“Noi speriamo che sia uno strappo isolato, ma certo così non si può andare avanti. L’Italia non ha bisogno di dividersi tra aperturisti e rigoristi. Quello che serve oggi è un patto per la ricostruzione, come propone Enrico Letta: le riforme e le scelte per far ripartire l’economia le dobbiamo decidere tuti insieme, altrimenti rischiamo di fallire. Se qualcuno si chiama fuori si assume una responsabilità molto grave nei confronti del Paese”.

Ma una maggioranza così ampia e poco omogenea non rischia di essere un ostacolo alle riforme?

“Tutt’altro, il governo di unità nazionale guidato da una personalità come Mario Draghi è un’occasione storica. Ci aspettano passaggi molto importanti: penso alla presentazione del Pnrr, alla riforma fiscale, alla riforma della pubblica amministrazione… su cui è necessario confrontarsi, ma in modo leale e pragmatico, mettendo da parte le bandierine ideologiche. La Lega deve decidere se stare in maggioranza o all’opposizione, giocare due parti in commedia non è possibile”.
Lei pensa che la linea di lotta e di governo inaugurata da Salvini sia dettata dal timore di essere scavalcato a destra da Giorgia Meloni?
“Io credo che gli italiani premieranno le forze capaci di collaborare per il bene del Paese. Salvini si illude se pensa di contenere la Meloni rimanendo con un piene dentro e uno fuori, l’ambiguità non paga”.
Intanto però la Lega sta pensando di astenersi anche sulla mozione di sfiducia contro il ministro Speranza.
“Sarebbe un altro segnale molto negativo. Ricordo a tutti che le scelte in materia di restrizioni, proposte del ministro della Salute, sono state condivise da tutto il governo, compresi i ministri della Lega. Chiamarsene fuori un minuto dopo, additando Roberto Speranza come nemico del popolo, è qualcosa di moralmente e politicamente inaccettabile”.
In agosto inizia il semestre bianco e sino all’elezione del nuovo capo dello Stato non si potranno sciogliere le Camere. Nel frattempo a ottobre i partiti saranno in campagna elettorale per le amministrative nelle maggiori città italiane. Non teme che l’attuale maggioranza possa trasformarsi in un Vietnam e destabilizzare il Gabinetto Draghi?
“Il rischio c’è tutto e sarebbe un disastro. Per l’Italia e per la credibilità della politica, che ne uscirebbe a pezzi. Il semestre bianco non può significare il liberi tutti o peggio il Vietnam in una fase, ripeto, così delicata. Si vota per i sindaci, non per le Politiche, e da sempre le coalizioni a livello locale possono non coincidere con quelle nazionali. Cercare pretesti per rompere equilibri già di per sé fragili sarebbe un errore gravissimo che né il Paese né l’Europa ci perdonerebbe”.


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