Antonio Misiani, senatore responsabile Economia e Finanze, Imprese e Infrastrutture nella segreteria nazionale del Partito Democratico. La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che dichiara pubblicamente: “Farò campagna per l`astensione” ai referendum dell`8 e 9 giugno. I leader della destra che esaltano la scelta politica del non voto. Lo stesso fa la Segretaria della Cisl. Che democrazia è questa e perché si ha paura di questi referendum?
Che i contrari ai referendum facciano appello al non voto è discutibile ma ormai fa parte del costume politico nazionale. Che siano però le massime cariche istituzionali a invitare i cittadini a disertare le urne è inaccettabile. L`astensionismo sta svuotando la nostra democrazia. Alle ultime europee più di metà degli elettori sono rimasti a casa. I vertici della Repubblica devono essere i primi a farsi carico di questo problema, invitando i cittadini a votare. Sempre e comunque.
I malpancisti albergano anche nel centrosinistra. Di Calenda e Renzi sappiamo, ma anche dentro il PD c`è una fronda anti-Schlein. Il leitmotiv è sempre lo stesso: la campagna del Partito Democratico sui referendum è un regalo alla destra.
I referendum non sono stati promossi dal PD ma i temi di cui si occupano ci riguardano direttamente. L`obiettivo di andare oltre il Jobs Act e di ricucire lo strappo che si era aperto dieci anni fa, così come quello di cambiare le norme per la cittadinanza, erano parte integrante del programma con cui Elly Schlein si è candidata alla guida del PD. Una volta ammessi i referendum dalla Corte costituzionale, rimanere alla finestra sarebbe stato un errore. Il merito che tutti riconoscono a Schlein è aver dato al partito una identità netta e riconoscibile. La scelta di votare cinque sì e di impegnarsi attivamente nella campagna referendaria è coerente con questa impostazione.
Per restare ai Dem, gli ipercritici della Segretaria sostengono, più o meno esplicitamente, che comunque vada Elly Schlein si consegna a Landini se non addirittura a Conte.
Schlein non si “consegna” a nessuno: costruisce alleanze politiche e sociali coerenti con i valori fondativi del PD. Sostenere i referendum per rafforzare i diritti dei lavoratori e rendere il lavoro meno precario e più sicuro, per accelerare l`acquisizione della cittadinanza come canale di integrazione degli immigrati, non vuol dire cedere ad altri, ma affermare un`identità chiara su alcuni nodi politici chiave. Ricostruire un campo progressista richiede interlocuzioni, ma anche leadership. Elly Schlein sta esercitando la sua, con coraggio e coerenza.
Cittadinanza, lavoro, diritti sociali e, per andare oltre i quesiti referendari, una pace nella giustizia, per dirla con Papa Francesco, o una pace “disarmata” e “disarmante”, con le parole del suo successore Leone XIV: se non parte da questi temi e da queste battaglie la sinistra può ancora definirsi tale?
Il punto è esattamente questo. Il tempo che ci è dato vivere è molto complicato, è segnato da conflitti e spinte autoritarie, disuguaglianze drammatiche, una rivoluzione tecnologica di enorme portata e una crisi climatica che minaccia il nostro futuro. La sinistra nel XXI secolo ha la sua ragion d`essere se si batte per la dignità del lavoro e la giustizia sociale, per affermare la pace e la società aperta, per promuovere un modello di sviluppo più giusto e più rispettoso della natura. La sfida della destra populista è tremenda, scuote dalle fondamenta le nostre democrazie. Non possiamo permetterci di vivacchiare, dobbiamo mettere in campo un progetto coraggioso e radicale, altrimenti siamo condannati alla marginalità.
In questo mondo travagliato, i dazi di Trump stanno sconvolgendo l`ordine economico internazionale e secondo molti possono segnare la fine della globalizzazione.
Trump ha sicuramente scatenato la guerra commerciale più demenziale della storia, come ha scritto il Wall Street Journal, ma è dalla crisi finanziaria del 2008 che gli Stati Uniti si sono incamminati sulla via del protezionismo. L`America è una superpotenza in crisi: la Cina contende la sua leadership economica e tecnologica, il ventennio di guerre tra Iraq e Afghanistan l`ha dissanguata economicamente e il suo debito pubblico è salito a livelli enormi. Trump farà in parte marcia indietro, rispetto ai dazi annunciati il 2 aprile nel “Liberation day”, perché gli USA sono più fragili di quanto sembra, tra rischi di recessione, inflazione e instabilità finanziaria. Il sovranismo economico della destra è una ideologia che non regge di fronte alla realtà. Ma il mondo di prima non tornerà. La globalizzazione come l`abbiamo conosciuta negli ultimi trent`anni è finita. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è. L`Europa, in questo quadro cupo, è particolarmente vulnerabile. Se non si attrezza rapidamente, rischia di fare il vaso di coccio tra i vasi di ferro.
La Meloni può realmente fare da ponte tra Trump e l`Unione europea?
La favola della Meloni “pontiera” è stata spazzata via dall`ultima presa di posizione di Trump, che ha minacciato di imporre alla UE dazi del 50 per cento. Gli incontri con Trump e Vance sono stati “photo opportunity” buone per i profili social della premier, ma non hanno portato nulla di concreto per il nostro Paese. La Meloni dovrebbe smetterla una volta per tutte di tenere il piede in due scarpe. L`alleanza con gli Stati Uniti non è in discussione ma solo stando nel campo europeo potremo difendere al meglio i nostri interessi. Non dobbiamo farci impressionare dalle minacce di Trump, di accelerazioni seguite da retromarce ne abbiamo viste tante in queste settimane. Semmai, il governo italiano dovrebbe attivarsi per sostenere i settori economici più colpiti dai dazi. Gli Stati Uniti sono il secondo mercato per le nostre esportazioni, noi siamo tra i Paesi più vulnerabili di fronte ai dazi. Il governo aveva annunciato un piano da 25 miliardi ma finora abbiamo visto solo promesse e niente di concreto.
La presidente del Consiglio magnifica i risultati ottenuti dal suo governo in economia e sull`occupazione.
In realtà, l`economia italiana è ferma. Negli ultimi due anni il PIL è tornato ad inchiodarsi ad una crescita vicina allo zero e senza il PNRR saremmo in recessione. La produzione industriale è in calo da ventisei mesi consecutivi. I dazi di Trump rischiano di essere una mazzata. Certo, l`occupazione sta andando bene, come accade anche nel resto d`Europa. È una buona notizia ma solo in parte, perché avviene in un contesto di economia stagnante. Vuol dire che gran parte dei nuovi posti di lavoro vengono creati in settori a bassa produttività e bassi salari. La questione salariale è estremamente grave ed è legata ad un assetto produttivo frammentato e spesso arretrato, caratterizzato da una terziarizzazione povera. Il potere d`acquisto delle retribuzioni è inferiore dell`otto per cento rispetto al 2021. Nel 2005 meno del quattro per cento delle famiglie di operai erano in condizione di povertà assoluta. Nel 2023 oltre il sedici per cento, una su sei. Sono dati drammatici.
Ma il governo continua a dire di no al salario minimo.
Dicono di no al salario minimo, che pure è in vigore in ventidue Paesi sui ventisette dell`Unione europea, e invitano a disertare i referendum, che rafforzerebbero i diritti dei lavoratori. Hanno reso permanente il taglio del cuneo fiscale, come era giusto fare, ma sono rimasti inerti di fronte al fiscal drag IRPEF che ha falcidiato le buste paga nette dei lavoratori dipendenti, vanificando buona parte degli aumenti contrattuali. Dicono che la questione salariale l`hanno risolta loro ma poi la Lega presenta un disegno di legge sul potere d`acquisto degli stipendi, ammettendo che il problema esiste ed è grave. La destra dice di stare dalla parte del popolo, ma quando si tratta di scegliere, sceglie sempre e comunque di stare dalla parte dei più forti. E al popolo rimane solo la loro propaganda.
Dopo le comunali a Genova è in programma una importante tornata di elezioni regionali. Come arriva il PD a queste sfide elettorali?
Amministrative, referendum e regionali sono le tre tappe che ci separano dalle prossime politiche. Sul referendum ho già detto come la penso. Le amministrative nelle sfide principali vedranno in campo il PD con coalizioni ampie delle forze politiche e civiche alternative alla destra. Noi siamo fiduciosi, abbiamo le carte in regola per fare bene. Le regionali sono l`appuntamento più complicato. Si voterà in cinque regioni. La Campania, dove sono commissario regionale del PD, è la situazione più complessa. Veniamo da dieci anni di amministrazione De Luca, con un bilancio complessivamente positivo. Il nostro obiettivo è costruire una coalizione insieme al Movimento 5 Stelle, ai centristi, ad AVS e alle forze civiche, sul modello di quelle che abbiamo promosso a Napoli e in tante altre realtà. Serve grande apertura da parte di tutti. Noi la nostra parte la faremo. Con spirito testardamente unitario.


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