Antonio Misiani è stato viceministro dell`Economia nel governo Conte 2, quello che fece l`accordo con la Ue sui 191,5 miliardi di euro che sarebbero andati all`Italia per il Pnrr e poi ha continuato a seguire il Piano nazionale di ripresa e resilienza come responsabile economico del partito democratico, convinto sostenitore del governo Draghi, e da vicepresidente della commissione Bilancio in Senato.
Nella relazione che il governo ha appena presentato al Parlamento si accusa Draghi di aver lasciato in eredità all`esecutivo Meloni l`attuazione di ben 3o obiettivi dei 55 previsti per il secondo semestre 2022, costringendolo a una corsa contro il tempo, visto che il cambio della guardia ci fu alla fine di ottobre.
«È una accusa surreale. Non è stato certo Mario Draghi a far precipitare il Paese ad elezioni anticipate. E stata la destra a volerle, quella di governo – perché non dimentichiamo che Lega e Forza Italia erano nella maggioranza e quella di opposizione. La crisi di governo ha pesato molto, nel rallentamento dell’iter del Piano a fine 2022». Sempre in questo documento si legge che il precedente governo non disse la verità quando affermò che non c`erano criticità o rischi di rallentamento sul Pnrr.
«Che l`attuazione del Piano fosse una sfida complessa, lo sapevano anche i sassi e nessuno, tantomeno Draghi, ha sottovalutato le criticità della fase attuativa. Il punto, a tre anni dalla scadenza del Piano,
non è evidenziare questo tema, ma provare a risolverlo».
L`attuale governo dice di aver riformato la governance del Piano e difende il nuovo modello. Voi invece attribuite al cambio della governance i ritardi attuali.
«Il governo è in carica da più di sette mesi. In tutto questo tempo le uniche cose che ha fatto sono: un discutibile cambio della governance, che suscita dubbi anche a Bruxelles, e un continuo scaricabarile nei confronti di tutto e tutti, dai governi precedenti alle amministrazioni locali, fino alla Corte dei conti messa sotto accusa per il controllo concomitante».
Secondo voi, quale è il problema attuale del Pnrr e cosa dovrebbe fare il governo?
«La revisione del Piano è annunciata da mesi ma non abbiamo ancora visto nulla di concreto, né a Roma né tantomeno a Bruxelles. Segnalo che in Europa sono state presentate ufficialmente le proposte di revisione del Pnrr da parte di Francia, Estonia, Slovacchia, Spagna, Malta, Irlanda, Portogallo e Danimarca mentre Germania e Lussemburgo hanno già avuto il via libera. Va raccolto il monito del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mettendosi alla stanga tutti per attuare il Piano: il governo, i comuni, le regioni, le forze economiche e sociali. E coinvolgendo anche l`opposizione».
Meloni accusa le opposizioni di fare cattiva propaganda dell`Italia all`estero, invece di fare squadra per difendere gli interessi nazionali. È così anche sul Pnrr?
«Ma quando mai! Sul Pnrr noi abbiamo sempre dato la disponibilità a fare la nostra parte fino in fondo, nell`interesse generale del Paese. Vogliamo farla, però, sulle scelte concrete e non sulle chiacchiere».
Lei ha visto la nascita del Pnrr. Col senno di poi ammetterà che c`è stato qualche problema di impostazione. Forse è stata messa troppa carne al fuoco. Perché l`Italia fu l`unico Paese a scegliere di chiedere tutti i prestiti a disposizione? Non era meglio essere più prudenti?
«Abbiamo scelto di prendere tutti i prestiti per due motivi: perché l`Italia aveva un enorme bisogno di investimenti pubblici dopo più di dieci anni di stasi e perché i tassi di interesse sul prestiti Ue erano più convenienti e lo sono ancora di più ora in una fase di tassi crescenti».
Oggi tutti riconoscono che il Pnrr ha bisogno di essere modificato. Come Io cambierebbe?
«Uno dei possibili cambiamenti è rafforzare gli incentivi per la transizione ecologica e digitale rivolti a famiglie e imprese. Se coerenti con gli obiettivi strategici del piano, possono essere una strada per accelerare la spesa delle risorse disponibili. Un`altra leva potrebbe essere utilizzare maggiormente la capacità
progettuale delle grandi aziende pubbliche, a partire da quelle più direttamente coinvolte nella sfida green. Infine, affrontare con gli enti territoriali le problematiche emerse per quanto riguarda il numero e la fattibilità di una serie di progetti minori».
E rinunciare a una parte delle risorse, prendendo atto delle difficoltà?
«Sarebbe un drammatico errore che toglierebbe all`Italia ogni credibilità per negoziare in Europa ulteriori strumenti comuni di politica economica e regole di bilancio più flessibili».


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