Antonio Misiani, responsabile economia del Pd, si dice «assolutamente favorevole a diffondere la sperimentazione della riduzione dell`orario di lavoro a parità di salario».
È attraente, ma non si rischia così di allargare la frattura tra chi può lavorare in modo flessibile e chi non può farlo?
«È un rischio reale che bisogna scongiurare, i percorsi di riduzione dell`orario devono contribuire a migliorare la qualità del lavoro, non ad aggravare le disuguaglianze già presenti».
Come evitarlo?
«Le grandi imprese stanno iniziando la sperimentazione, ma il problema dell`Italia è che per le micro e piccole aziende è molto più difficile cambiare la propria organizzazione del lavoro. In Italia uno strumento interessante è il Fondo Nuove Competenze, che copre il 100% della retribuzione oraria delle ore destinate alla formazione in caso di intese che prevedano per un triennio una riduzione di orario di lavoro a parità di retribuzione complessiva. Le Pmi vanno aiutate a sperimentare questa strada».
Però un orario di lavoro ridotto potrebbe invogliare altri lavoratori, soprattutto le donne, a entrare nel mercato del lavoro.
«Anche se il tasso di occupazione ha superato i livelli pre-Covid, l`Italia continua ad avere un significativo ritardo rispetto ai principali Paesi Ue, in particolare per le donne. La riduzione dell`orario di lavoro, a determinate condizioni, può favorire la creazione di occupazione aggiuntiva».
La Commissione Lavoro di Montecitorio sta avviando un`indagine conoscitiva, che forse, sentiti tutti gli attori in campo, potrebbe anche approdare a una legge. Secondo lei sarebbe opportuno in questo momento?
«Una riduzione dell`orario di lavoro imposta dall`alto è difficilmente praticabile, per un sistema produttivo come quello italiano, dominato da micro e piccole imprese. Può essere un eventuale punto di arrivo ma il percorso deve partire dal basso, valorizzando il ruolo della contrattazione. Una legge può invece essere molto utile per accompagnare questo processo, indicando una direzione e prevedendo incentivi fruibili innanzitutto dalle Pmi».
Però intanto, guardando ad altri Paesi come il Regno Unito, questo nuovo modello di settimana corta sembra funzionare.
«La sperimentazione condotta in Gran Bretagna è molto interessante e conferma che la settimana di 4 giorni lavorativi può migliorare il benessere dei lavoratori, accrescere la produttività e ridurre le emissioni di Co2».


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