“L’economia italiana è ferma da sei mesi e la produzione industriale è in calo da 23 mesi. Il Paese si sta deindustrializzando e se c’è una cosa che nessun governo può permettersi di fare è negare la realtà e raccontare un Paese che non c’è” ha dichiarato Antonio Misiani, responsabile economico del PD, in apertura del convegno sulle politiche industriali organizzato da Energia Popolare a Bergamo. Secondo Misiani “la sfida di reindustrializzare l’Italia e l’Europa si gioca Innanzitutto a livello europeo. La transizione verde e quella digitale sono processi irreversibili. Ma le nostre società – le nostre democrazie – rischiano di non reggere senza una politica industriale e una politica sociale all’altezza della doppia transizione.
Il nostro compito è esattamente questo. Costruire un percorso di transizione sostenibile dal punto di vista economico e sociale. L’automotive è da questo punto di vista una cartina di tornasole. Sarebbe un errore drammatico rimettere in discussione i punti di arrivo della transizione verde. Ma sarebbe un errore altrettanto grave non adeguare il percorso, gli strumenti e le tecnologie alle condizioni con cui ci dobbiamo confrontare. Serve grande pragmatismo, non guerre di religione.
E serve un grande gioco di squadra: devono muoversi la UE, i governi nazionali, ma anche i produttori, che in questi anni mentre distribuivano miliardi di dividendi hanno accumulato un pesante ritardo tecnologico. Innovare, innovare, innovare è il punto chiave, anche con progetti di cooperazione su scala europea come quello per le piccole auto elettriche proposto dall’amministratore delegato di Renault Luca De Meo”. “In Italia il declino industriale deriva da problemi strutturali e fattori congiunturali come la crisi tedesca” – conclude Misiani – “ma la politica del governo sta aggravando la situazione. La pressione fiscale sulle imprese è aumentata e le risorse nel bilancio dello Stato destinate alle politiche industriali, a partire dal fondo automotive, sono state drasticamente tagliate. Così non può funzionare. Serve una inversione a U e serve subito su tre punti. Primo: l’energia. Il governo la prossima settimana dovrebbe emanare un decreto. Bene, meglio tardi che mai. Le nostre proposte sono in Parlamento, dal potenziamento del ruolo di Acquirente unico al disaccoppiamento del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas con la stipula di contratti di lungo termine, fino agli aiuti alle imprese riducendo gli oneri di sistema e riconoscendo un credito d’imposta straordinario. Oggi leggiamo che il governo vorrebbe agganciare il rinnovo delle concessioni idroelettriche alla cessione di una quota dell’energia elettrica prodotta a prezzi calmierati. Facciamolo anche per la proroga delle concessioni per la distribuzione elettrica, facendole pagare con forniture di energia a prezzi ribassati. Secondo: gli investimenti per l’innovazione. Se Transizione 5.0 non decolla, meglio dirottare parte delle risorse per potenziare Transizione 4.0, ripristinando il credito d’imposta per la formazione e potenziando quello per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, e finanziare un programma per la digitalizzazione delle PMI sul modello spagnolo. Anche i proventi delle aste ETS devono essere utilizzati meglio: ha ragione Confindustria quando ricorda che In Italia solo una piccola parte dei proventi da aste di CO2 sono utilizzati per la decarbonizzazione delle imprese che pagano l’ETS. Terzo: l’automotive. Il 5 marzo la commissione UE presenterà il Piano d’azione per l’automotive. Abbiamo bisogno anche di un piano di azione nazionale, coordinato con quello europeo, che ripristini il fondo automotive per sostenere i progetti di innovazione e riconversione delle imprese, l’insediamento di gigafactory, la domanda di veicoli a emissione zero, anche con strumenti innovativi come il leasing sociale, la realizzazione degli impianti di ricarica. Su questi temi vogliamo confrontarci con tutti. Imprese, sindacati e governo. Quando la Meloni e i suoi ministri decideranno di fare i conti con la realtà e di cambiare marcia”.