Con la Nadef il governo Meloni ha chiarito alcuni punti non solo sulla situazione economica dell’Italia, ma anche sulle sue intenzioni per i prossimi anni. Ha deciso, ad esempio, che l’Italia si indebiti per quasi 16 miliardi di euro l’anno prossimo, per realizzare le misure da inserire nella legge di bilancio: le urgenze sono molte e le risorse poche. Antonio Misiani, senatore e responsabile Economia del Pd, ha risposto alle domande di Fanpage.it sui rischi della Nadef, su cosa dovrebbe fare il governo nel 2024 e anche sullo scontro sul salario minimo che andrà in scena nelle prossime settimane.
Per quanto riguarda la Nadef, Misiani ha sottolineato che “per mesi e mesi Giorgia Meloni, i suoi ministri, la sua maggioranza, ci hanno raccontato che andava tutto bene, che l’economia andava a gonfie vele, faceva meglio degli altri Paesi europei. I numeri della Nadef hanno smentito questa narrazione”. La conseguenza della difficoltà economica, causata sia da fattori internazionali che dalle azioni del governo, è “la scelta di fare non più 4 miliardi di extra-deficit, come avevano programmato, ma quasi 16. Questa richiesta di spostamento di bilancio arriverà in Parlamento mercoledì 11 di ottobre: il Pd non è disposto a dare deleghe in bianco per permettere al governo di fare quello che vuole. Chiederemo che ci spieghino le priorità in Aula”.
Una grossa parte di quei soldi sarà usata per prorogare di un anno il taglio del cuneo fiscale: “Una scelta che condividiamo, anzi abbiamo chiesto di rendere strutturale. È una risposta importante, anche se assolutamente non sufficiente, a quello che è accaduto in questi due anni di ripresa dell’inflazione, con una perdita di potere d’acquisto drammatica dei salari e degli stipendi. Il problema è che servono altre cose che invece il governo non prevede di fare”.
Tra queste c’è un intervento sulle bollette del gas e dell’elettricità, per rimandare l’ingresso di “un milione di famiglie che da gennaio dovrebbero passare dal regime di tutela luce e gas al libero mercato, dove i prezzi al momento sono il doppio. Chiediamo di rinviare il passaggio di un anno, per prepararlo meglio”. O anche un contributo per gli affitti, dato che “ci sono 5 milioni di famiglie che vivono in affitto e molte hanno affitti indicizzati all’inflazione, noi chiediamo che questo aumento venga congelato fino alla fine del 2024. Il governo non lo vuole per una scelta politica precisa: sta dalla parte dei proprietari e si disinteressa delle famiglie che vivono in affitto. Tant’è vero che nel 2023 ha lasciato a zero il Fondo affitti sociale e il Fondo morosità incolpevole”.
Ma la misura su cui il Pd punta di più è il salario minimo legale: “Non costerebbe un euro al bilancio dello Stato. Ce l’hanno 22 Paesi su 27 dell’Unione europea. La destra della presidente Meloni si rifiuta di anche solo di discutere seriamente la proposta delle opposizioni e non c’è una proposta del governo: c’è un primo pronunciamento del Cnel, che però è un organismo che ha valore consultivo. Noi chiediamo la discussione politica, chiediamo che la presidente del Consiglio, la ministra Calderone, il governo si assumano le proprie responsabilità”.
Il tema salario minimo è stato affidato al Cnel appunto, guidato da Renato Brunetta: “A noi è sembrato una mossa per buttare la palla in tribuna e prendere tempo. Ma la melina serve a poco, quando più del 70% degli elettori, compresa la maggioranza degli elettori di destra, sono a favore di questa scelta. Perché tutti sanno che in questo Paese ci sono milioni di lavoratori che sono sottopagati. Tutti sanno quanto purtroppo è aumentata la precarizzazione del mercato del lavoro nel nostro Paese. Quanti lavoratori sono inquadrati a part time anche se vorrebbero un lavoro a tempo indeterminato. Quante finte partite Iva nascondono rapporti di lavoro dipendente, ma senza garanzie e senza tutele”.
Con la manovra dovrebbe partire anche la riforma dell’Irpef, che scenderà da quattro a tre scaglioni. Per come è strutturata, “con questa riforma i redditi fino a 15mila euro non hanno alcun beneficio. Gli sgravi fiscali si concentrano sui redditi superiori. E poi bisogna capire come viene finanziata. Si torna alla questione dell’extra-deficit che il governo vuole usare: qual è la priorità, tagliare le tasse ai redditi alti oppure rifinanziare la sanità? Una questione che ha posto con forza anche il ministro della Salute, anche le Regioni che sono governate nella grande maggioranza da coalizioni di destra”.
Sulla sanità, la Nadef ha previsto per l’anno prossimo un taglio di due miliardi di euro “a legislazione vigente”, cioè prima che il governo intervenga con la legge di bilancio: “Se noi volessimo recuperare anche solo il livello del 2022 in rapporto al Pil, che era al 6,7%, servirebbero 10 miliardi aggiuntivi alla previsione fatta nella Nadef”, ha detto Misiani. “Il ministro Schillaci ne ha chiesti quattro, le Regioni ne hanno chiesti quattro, noi chiederemo al governo almeno a queste richieste che sono il minimo sindacale”.
Se non si fanno scelte importanti, “si condanna il sistema pubblico ad un progressivo ridimensionamento, aprendo spazi enormi alla sanità privata e scaricando i costi sulle famiglie. Io sono lombardo e bergamasco: in provincia di Bergamo c’è una struttura privata che ormai ha aperto un pronto soccorso a pagamento. Se paghi 150 euro salti la fila, altrimenti fai la fila e aspetti ore e ore. Questo è il modello di sanità che vogliamo? Noi crediamo assolutamente di no”.
Anche i governi Draghi e Conte II avevano previsto un calo dei fondi alla sanità negli anni, “ma le leggi di bilancio hanno sempre fatto scelte nettamente diverse, e il Fondo sanitario con la legge di bilancio è sempre stato rifinanziato. Il punto è capire cosa prevederà la prossima legge di bilancio. E lì che si vedranno e si giudicherà la qualità delle scelte del governo”.
La sanità sarebbe tra le priorità del Partito democratico nella prossima legge di bilancio, così come altri “servizi essenziali” come il trasporto pubblico: “La benzina supera i due euro al litro, il governo sta incassando miliardi e miliardi di euro più delle previsioni. Avevamo chiesto – e torniamo a chiederlo – che una parte di quel extra-gettito venga restituito anche rifinanziando il trasporto pubblico locale. Il bonus trasporto ha aperto le domande il 1 ottobre e hanno chiuso dopo poche ore”. E poi c’è il Pnrr: “Il governo ha una Ferrari che si chiama Pnrr. Non servono soldi aggiuntivi, abbiamo 230 miliardi tra i fondi europei e i fondi nazionali. Noi siamo preoccupati. Qualunque piattaforma indipendente che monitora l’andamento del Pnrr segnala ritardi. La verità, ce lo dobbiamo dire, è che il governo Meloni non sente come proprio il Pnrr, lo ha ereditato dai governi precedenti e dà l’impressione di viverlo come un fastidio invece che una straordinaria opportunità per trasformare il Paese”.
Con la recente ‘rimodulazione‘ del Pnrr, il governo ha “definanziato progetti per 16 miliardi di euro. Di questi, 13,5 miliardi sono progetti dei Comuni. Progetti per le aree più degradate, per l’efficientamento energetico, per il risanamento del territorio, cose utili, piccole opere che potevano e possono essere cantierate rapidamente. Hanno tolto quei soldi, hanno detto genericamente che troveranno delle fonti di finanziamento alternative. I Comuni sono in braghe di tela. E che cosa fanno i funzionari pubblici? Giustamente, dal loro punto di vista, in una situazione di incertezza, bloccano tutto. Il governo sta bloccando opere per miliardi di euro che invece potrebbero aiutare l’economia a ripartire”.


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